20e Congrès du Parti communiste chinois, China News Service, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=124474423 |
La prospettiva o, per meglio dire, le prospettive per l’unità dei comunisti e delle comuniste nel nostro Paese traggono alimento da una serie di condizioni reali che, dislocandosi sul piano sociale e a livello politico, configurano un’opportunità, allo stesso tempo, complessa, preziosa e delicata.
Un’opportunità preziosa perché può dare concretezza e slancio al tentativo, che non può che traguardare la prospettiva di un nuovo inizio su basi convincenti e rinnovate, di costruire uno spazio politico condiviso per i comunisti e le comuniste del nostro Paese. Ma, al tempo stesso, una circostanza estremamente delicata e potenzialmente fragile, vuoi perché non pochi sono i compagni e le compagne che portano con sé la storia di una, spesso lunga, esperienza politica e militante in altre organizzazioni politiche della sinistra di classe, vuoi perché precisi devono essere il contorno e il profilo di una proposta di organizzazione che non imploda, non si esaurisca in sé stessa, non dia luogo a spinte centrifughe, non coltivi l’illusione delle scorciatoie, non si perda in soggettivismi, leaderismi, velleitarismi.
Lo spunto originario, sotto questo profilo, contenuto nell’appello promosso, tra i primi firmatari, dai compagni Manlio Dinucci, Carlo Formenti, Fosco Giannini, portava con sé un’indicazione importante: quella di rivolgersi ai comunisti e alle comuniste, quelli «organizzati nei loro partiti, riviste, associazioni, movimenti e all’intera area della diaspora comunista», e di prospettare l’impegno per l’unità dei comunisti su basi politicamente coese e ideologicamente affini, anche a partire da riviste, collettivi e associazioni di ispirazione marxista e leninista, allo scopo di sfuggire alla tenaglia del dogmatismo, da una parte, e dell’eclettismo, dall’altra. Recuperando questa ispirazione di fondo, è allora da verificare non tanto la possibilità quanto soprattutto la praticabilità dell’ipotesi, verificare cioè, in un cimento collettivo, le condizioni, gli spazi, le forze per andare avanti su queste basi.
È ridondante, in questa sede, ribadire la cornice di contesto, la dinamica di fase, all’interno della quale tale progetto viene a iscriversi: la rinnovata pericolosità del capitalismo finanziario e la esasperata aggressività dell’imperialismo che, di fronte alla crisi della propria egemonia e all’apertura della prospettiva di un mondo multipolare, rinnova la minaccia e l’esercizio della guerra, contro la libertà, lo sviluppo e l’autodeterminazione dei popoli; il moltiplicarsi, di conseguenza, di scenari di crisi e di conflitto che prefigurano la prospettiva di una «risposta nell’emergenza» alla crisi di egemonia e la continua minaccia alla pace, alla possibilità di uno sviluppo pacifico e alle condizioni di libertà e di indipendenza dei popoli, come mostrano gli scenari di tensione e di conflitto aperti, dal Donbass a Taiwan, passando per il Vicino Oriente e l’Africa subsahariana; l’aggravarsi, infine, della crisi strutturale del capitalismo, che, nel continuo peggioramento delle condizioni materiali di esistenza e di diritti delle masse popolari, e, in primo luogo, dei lavoratori e delle lavoratrici dei Paesi che una volta si sarebbero definiti a “capitalismo avanzato”, segnala l’urgenza di un cambio complessivo di paradigma.
È di fronte a questo scenario, rapidamente sbozzato ma su cui specifici e puntuali approfondimenti, in collegamento con le realtà comuniste e progressiste dei rispettivi Paesi, sono in corso e sempre più vanno alimentati e sostenuti, che si pone il compito grande che sta di fronte ai comunisti e alle comuniste del pianeta: sviluppare e consolidare i legami di reciproca solidarietà e vicinanza, anche attraverso la creazione di reti e forum di discussione e di iniziativa comune; approntare e strutturare una linea e un lavoro di massa, all’interno di ciascun Paese, per sviluppare il conflitto sociale e orientare le masse popolari, a partire dai lavoratori e dalle lavoratrici, verso conquiste sociali e democratiche sempre più avanzate. Per quanto una chiara, imprescindibile, analisi della moderna composizione di classe sia ancora in svolgimento, è da queste premesse sociali e di fase che è opportuno e necessario partire, sulla base del marxismo, del materialismo storico e dialettico, del grande sviluppo politico e culturale del socialismo nel corso del Novecento, delle istanze più significative e più avanzate aperte dalla prospettiva del «socialismo del XXI secolo», dell’esperienza storica e politica dei comunisti nel nostro Paese.
Proprio a cavallo di questo autunno, alcuni eventi di grande portata sono intervenuti, segnalando elementi di notevole incidenza politica e di rilevante valore prospettico: lo svolgimento del XX congresso del Partito comunista cinese; la rinnovata attenzione nei confronti dell’esperienza di Cuba socialista; la riarticolazione, in Italia, di un movimento per la pace e contro la guerra, su una base potenziale di massa. Più in generale, in alcuni Paesi europei, in particolare la Francia e la Repubblica Ceca, la ripresa di una mobilitazione di massa politicamente avanzata, per il lavoro e la giustizia sociale, contro la guerra e le sanzioni, a difesa dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.
Certamente lontani e apparentemente scollegati, essi segnalano tuttavia alcuni contenuti tematici, alcuni nuclei politici, intorno ai quali si concentra, e ancora più dovrà concentrarsi, l’attenzione dei comunisti e delle comuniste. Il XX congresso del Partito comunista cinese, l’organizzazione che rappresenta, al tempo stesso, un partito comunista al potere e la seconda più grande organizzazione politica al mondo per numero di iscritti, ha prospettato l’apertura di una «nuova era» e aggiornato il profilo del socialismo con caratteristiche cinesi (in termini politici e istituzionali) e dell’economia socialista di mercato (in termini economici e sociali) ai fini della transizione da una «società socialista moderatamente prospera» a una «società socialista moderna a tutti gli effetti», nella quale, riprendendo i termini con cui si esprime la risoluzione finale, non solo costruire un «nuovo modello di sviluppo» basato sulla promozione di uno sviluppo avanzato di qualità, sull’avanzamento del ciclo produttivo e del mercato interno e sul miglioramento dello sviluppo industriale e dello sviluppo coordinato, ma anche delineare il profilo di una rinnovata «democrazia popolare», attraverso la quale garantire che i cittadini e i lavoratori siano al governo del Paese, il percorso di sviluppo politico socialista sia perseguito, i diritti e gli interessi delle persone siano protetti, la creatività sia stimolata, la democrazia consultiva e la democrazia di base siano sviluppate in modo articolato e completo.
Si tratta di un’indicazione essenziale, non un modello universale, ma un’esperienza irrinunciabile, anche per i comunisti e le comuniste del nostro Paese: afferma la centralità del socialismo, a partire dalle sue basi marxiste, nella vita e nello sviluppo del Paese; aggiorna la questione cruciale della transizione come processo storico e politico di avanzamento e di rigenerazione; conferma il gigantesco potenziale di innovazione che il socialismo è in grado di esprimere nel traguardare obiettivi pluridecennali e secolari. Socialismo, trasformazione e innovazione, dunque, con buona pace dei tanti denigratori che, al contrario, si ostinano, banalmente e ripetitivamente, a vedere nel socialismo solo stasi e grigiore.
Diversa, per il suo contesto specifico, per il suo retroterra storico e per la sua configurazione sociale, l’esperienza di Cuba socialista, con il vasto movimento di solidarietà presente e attivo nei cinque continenti, costituisce, non di meno, un punto di riferimento irriducibile. Si pensi solo, in riferimento al socialismo cubano, alla sua capacità di rispondere, con difficoltà ma con successo, al pluridecennale bloqueo criminale imposto dall’imperialismo, e alla sua vitalità nel difendere le conquiste del socialismo e avanzare verso diritti sempre più solidi ed estesi, attestati, tra le altre cose, dalla collocazione di Cuba tra i Paesi ad alto sviluppo umano, dagli elevati livelli e qualità della scolarizzazione, da un sistema di ricerca e di protezione sanitaria universale tra i più avanzati.
Philippe Antoine, Paris, France, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0> via Wikimedia Commons |
Come ha scritto, nel luglio dello scorso anno, Gianni Minà, infatti, a fronte di un vero e proprio embargo durato sessant’anni e dodici presidenti USA, «i cubani, in tutto questo tempo, hanno dimostrato che non hanno vissuto in un «gulag tropicale» come i media occidentali hanno sempre voluto descrivere questa piccola isola in maniera capziosa: non si sopravvive alla crudezza del periodo speciale [...] senza un consenso popolare di massa che non è basato sulla repressione». Si tratta, anche in questo caso, di un contenuto fondamentale anche (forse soprattutto) per i comunisti e le comuniste occidentali: non solo il socialismo è in grado di declinare il binomio democrazia/diritti in maniera più compiuta e più efficace di quanto possano immaginare le cosiddette “democrazie occidentali”, ma, in particolare, è in grado di esprimere contenuti di partecipazione e di avanzamento reale tra i più significativi al mondo.
Basti pensare, per limitarsi a un solo esempio, alla recente approvazione, a Cuba, del nuovo Codice della Famiglia: per un verso, una rappresentazione estremamente vivida della capacità di innovazione e di avanzamento del sistema sociale cubano, per l’ampliamento della sfera dei diritti che viene a definire e per il carattere delle sue disposizioni; per altro, un fattore non solo di sviluppo, ma anche di partecipazione, con l’organizzazione di un dibattito pubblico, attraverso migliaia di assemblee, sui contenuti del Codice, sottoposto a consultazione popolare per l’approvazione definitiva; infine, un’applicazione concreta dell’inestricabile correlazione tra diritti sociali e diritti civili, con lo spazio delle libertà personali e affettive che insiste sullo spazio dell’inclusione sociale e della giustizia sociale e che, in prospettiva, conferma il nesso, teorico e politico, essenziale, della universalità e indivisibilità dei diritti umani in tutte le loro generazioni (come diritti civili e politici; come diritti economici, sociali e culturali; come diritti dei popoli e dell’ambiente; come diritti digitali), nel senso di «tutti i diritti umani per tutti». Il tutto enucleato, anche in questo caso, nel solco dell’esperienza e della pratica del socialismo.
Il socialismo continua a porre, dunque, per il presente e per l’avvenire, la grande questione del nesso storico tra democrazia, diritti e inclusione sullo sfondo delle grandi istanze dell’uguaglianza, dell’autodeterminazione e della giustizia sociale. E così come, richiamando Jean Jaurès, «il capitalismo porta la guerra come le nuvole portano la pioggia», allo stesso modo il socialismo alimenta, con coerenza ed efficacia, il percorso della mobilitazione, cui i comunisti e le comuniste hanno sempre offerto e continuano ad offrire un contributo essenziale, «contro la guerra e per la pace».
Anche in quella che si annuncia come la prima mobilitazione di massa per la pace da diversi anni in Italia, la manifestazione del 5 novembre a Roma, sono le soggettività comuniste, progressiste e pacifiste conseguenti, a fronte delle carenze e delle debolezze di altre piattaforme e di altri posizionamenti, a portare le parole d’ordine più incisive: per il cessate-il-fuoco e l’immediata apertura di spazi praticabili per la politica, la diplomazia e la pace; per la cessazione immediata dell’invio di armi in Ucraina; per la cancellazione immediata delle sanzioni contro la Federazione Russa; per la firma e la ratifica del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari; per la lotta contro la speculazione e gli assetti dominanti che, in uno con le sanzioni, sono all’origine del carovita, che sta facendo precipitare le condizioni materiali di esistenza dei lavoratori e delle lavoratrici; per lo scioglimento della NATO, la lotta contro i governi di guerra e la lotta contro le basi e le servitù militari straniere presenti nel nostro Paese.
Si pensi solo, anche in questo caso, alla storica esperienza dei Partigiani per la Pace e alle mobilitazioni contro la guerra, contro il riarmo, contro il nucleare, per avere un’idea del ruolo decisivo giocato dal movimento dei lavoratori e dai comunisti di tutto il mondo nella lotta contro la guerra e per la pace. Ma anche la convergenza, sui temi della pace e della salvaguardia dell’umanità, delle forze sociali e culturali più avanzate, delle forze del lavoro e dell’intellettualità democratica e socialista: ancora in riferimento ai Partigiani per la Pace, ad esempio, figure quali Pablo Picasso, Louis Aragon, Il’ja Erenburg, Pablo Neruda, Albert Einstein e, tra gli italiani, Elio Vittorini, Salvatore Quasimodo, Renato Guttuso.
È un filosofo del nostro tempo, Domenico Losurdo, a ricordare la connessione inestricabile, tipica di Marx e dell’intero pensiero marxista, tra le questioni della pace, del progresso e dell’emancipazione; qui, la questione di classe porta con sé la convergenza tra emancipazione del proletariato e liberazione dell’umanità: «L’universalismo mette in discussione da un lato l’assoggettamento coloniale e la schiavitù o semi-schiavitù coloniale e dall’altro l’idea per cui le «razze superiori» sarebbero destinate a dominare quelle «inferiori» e i popoli di cultura «superiore» sarebbero chiamati a dettar legge a quelli di cultura «inferiore». È precisamente in questo contesto politico-ideologico che l’idea universalistica di un mondo senza guerre può ispirare un movimento di massa».
Non solo: «Nelle colonie, dove un intero popolo è assoggettato, privato della terra, deportato e spesso decimato, la «questione sociale» si presenta come «questione nazionale» (ovvero la lotta di classe tende a configurarsi al contempo come lotta nazionale). L’osservazione è di Marx, che aggiunge: «La profonda ipocrisia, l’intrinseca barbarie della civiltà borghese ci stanno dinanzi senza veli, non appena dalle grandi metropoli, dove esse prendono forme rispettabili, volgiamo gli occhi alle colonie, dove vanno in giro ignude», come mostra, in particolare, il ricorso contro i nativi a pratiche genocide. La lotta degli «schiavi delle colonie» è una grande lotta di classe e, al tempo stesso, una lotta per la pace e contro le forme più brutali di guerra e di violenza.
Per citare un passaggio, non tra i più noti, del leader storico, con Antonio Gramsci, dei comunisti italiani, Palmiro Togliatti, nella relazione conclusiva ai lavori del VII Congresso del Partito comunista (1951), «il miglioramento delle condizioni di esistenza di tutto il popolo dipende dalla conservazione della pace e da una profonda trasformazione della situazione economica, sociale, politica che sta davanti a noi. [...] Poiché vogliamo impedire la guerra, per questo vogliamo creare in Italia una situazione politica e sociale nuova, e prima di tutto una situazione tale in cui tutto il Paese, nella sua parte sana, nella sua parte produttiva, intelligente e democratica, si rifiuti di seguire la politica del governo attuale che ci porta alla guerra, che ci porta alla rovina. Ecco quello che noi vogliamo, ecco qual è il significato più profondo della nostra proposta. [...] Essa tende a salvare la pace, la democrazia e il benessere di tutti. Essa apre all’Italia la prospettiva di una trasformazione sociale la quale possa essere compiuta attraverso uno sviluppo pacifico». Sarebbe difficile, anche in considerazione della fase storica del nostro tempo, trovare parole più pertinenti ed attuali.
Insomma, uno spazio nuovo e attuale per un’aggregazione unitaria, su basi politicamente coese e ideologicamente affini, dei comunisti e delle comuniste del nostro Paese corrisponde a un’esigenza, come si provava a dire all’inizio, non solo di ordine tattico, ma anche di prospettiva strategica: non solo, cioè, per offrire una prima risposta possibile alla dolorosa questione della “diaspora comunista” e ai limiti, vari e diversi, delle aggregazioni politiche attualmente esistenti in Italia; ma anche per riprendere, in maniera più convincente, il percorso del consolidamento, dell’approfondimento e dell’innovazione del pensiero e della prassi del marxismo e del leninismo di fronte alle sfide del tempo presente. Ciò in maniera né settaria né autoreferenziale: proprio su queste basi, e a partire da tali premesse teoriche e politiche, può essere impostata la riflessione sull’accumulazione di forze, sulla massa critica necessaria, e, di conseguenza, sulla politica delle alleanze cui si potrà dare corpo, ai fini della costruzione di uno spazio politico entro il quale moltiplicare tali contenuti di pace, progresso e giustizia sociale.
Le esperienze socialiste e le sperimentazioni dei comunisti e delle comuniste ai quattro angoli del pianeta continuano a parlarci, infatti, di democrazia, progresso, eguaglianza, giustizia sociale, diritti. Resta, cioè, aperto e attuale il tema del socialismo, dell’organizzazione della proprietà statale dei mezzi fondamentali della produzione, della pianificazione e della programmazione della dinamica economica nei suoi molteplici comparti in società sempre più dinamiche, articolate e complesse, dell’organizzazione della società e dell’affermazione dei lavoratori e delle lavoratrici alla direzione del Paese, della lotta contro l’imperialismo, per un ordine internazionale pacifico e giusto, e per un mondo sempre più policentrico e multipolare, delle grandi questioni della guerra e della pace, in una parola, appunto, del socialismo, con i suoi affinamenti e le sue attualizzazioni, come prospettiva di trasformazione.
Riferimenti:
Fidel Castro, “La storia mi assolverà” (1953), La Habana, Cuba, 1975 (Castro Internet Archive, MIA 2001).
Gianni Minà, “Ora basta. Tutto quello che dobbiamo sapere sull’embargo contro Cuba”, Left, 25 luglio 2021.
Risoluzione finale del XX congresso nazionale del Partito comunista cinese, “People’s Daily”, 23 ottobre 2022, tr. it. F. Giannini.
Palmiro Togliatti, “Salviamo la pace del popolo italiano”, L’Unità, a. XXVIII, n. 84, 9 aprile 1951.
Domenico Losurdo, “Pace: una storia lunga e tormentata, tra idee e realtà”, intervista di E. Alessandroni, Marx21, 6 luglio 2016.
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