sabato 2 giugno 2018

Con il popolo palestinese in lotta

Djampa, CC-BY-SA 4.0, from Wikimedia Commons

È possibile mettere in fila ciò che sta succedendo, da alcuni mesi a questa parte, in terra di Palestina, per provare a definire un quadro della situazione nella regione? Abbiamo appena finito di assistere, sgomenti, alla partenza del Giro d’Italia in Israele, un incredibile controsenso, sportivo e politico, sommerso, peraltro, da una cappa propagandistica impressionante, le cui punte più sottili (meglio congegnate) sono state senza dubbio l’allusione costruita intorno al n. 101, quello della edizione 2018 del Giro d’Italia e quello della famigerata Unità 101, unità speciale dell’esercito israeliano, già comandata da Ariel Sharon, macchiatasi, in passato, di spietate incursioni ed efferati massacri contro i palestinesi; e la strumentalizzazione della figura di Gino Bartali, campione dello sport, la cui designazione, positiva in sé, di «Giusto tra le Nazioni», ad opera dello Yad Vashem, nel 2013, è diventata poi attribuzione postuma della cittadinanza onoraria di Israele, nel 2018, proprio a pochi giorni dalla partenza della contestuale edizione del Giro da Gerusalemme.
 
Appunto, Gerusalemme. La pretesa, questa sì, a tutti gli effetti sionista, da parte delle autorità di Israele, di attribuirsi ed intestarsi la Città di Gerusalemme come «capitale eterna, unica e indivisibile» di quello che oramai sempre più insistentemente e paradossalmente si va affermando come “Stato Ebraico”, è un autentico controsenso, che tradisce un atto di inaudita violenza, contro la storia e la memoria dei popoli della regione (e non solo), e di evidente illegittimità, basti appena richiamare qui, tra le più recenti, la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 478 del 20 Agosto 1980 che già a suo tempo definì tale attribuzione nulla e priva di validità («null and void»), nonché una grave «violazione del diritto internazionale» ed un serio ostacolo al raggiungimento di una pace «giusta e duratura» in Medio Oriente. Da un lato, il mantenimento dello status quo avvantaggia e amplia gli spazi, giorno dopo giorno, al progetto sionista di colonizzazione e assorbimento di territorio palestinese; dall’altro, le potenze internazionali (non chiamatele, per piacere, «Amici di Israele») attivamente alimentano e legittimano l’avanzata della occupazione: con atto unilaterale e provocatorio, gli Stati Uniti hanno deciso, appena il 14 Maggio scorso, di spostare la propria sede diplomatica dalla capitale israeliana Tel Aviv dentro la città di Gerusalemme.
 
Nei passaggi della storia, la scelta delle date ha spesso una forte valenza simbolica: non è sfuggito che il giorno scelto per l’inaugurazione della ambasciata USA a Gerusalemme sia coinciso con l’anniversario della fondazione dello Stato di Israele stesso, avvenuta, appunto, il 14 Maggio del 1948, in base all’approvazione, da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, della Risoluzione 181 del 29 Novembre 1947. Lo stesso giorno, il 14 Maggio, della Nakbah, la catastrofe del popolo palestinese, espulso dalle proprie terre e dai propri villaggi nel percorso di fondazione dello Stato di Israele, ha visto, a distanza di settant’anni, una nuova mobilitazione da parte del popolo palestinese ed una rinnovata escalation da parte delle autorità israeliane, che hanno letteralmente soffocato nel sangue la protesta dei palestinesi, provocando, nella sola giornata della inaugurazione dell’ambasciata, quasi quaranta morti e oltre mille feriti. È una vera e propria escalation, quella cui sta dando corso il governo della destra israeliana in tutti questi giorni: dal 30 Marzo, data in cui sono iniziate le manifestazioni popolari per la «Marcia del Ritorno», le forze israeliane hanno ucciso più di centoventi palestinesi e ferito oltre dodicimila persone, tremila colpite da munizioni letali.
 
Se, per un verso, la reazione dei Paesi del Medio Oriente e di parte della cosiddetta “comunità internazionale” è stata di condanna di Israele, al netto dell’assordante silenzio e della ingiustificabile inerzia della Unione Europea; per l’altro,  la funesta iniziativa USA, contrastata anche dalle Nazioni Unite, rischia di sancire, di fatto, la fine del cosiddetto «processo di pace» basato sul principio di «due popoli, due stati». Oggi, all’inizio di Giugno, a poco più di due mesi di questo nuovo ciclo di protesta, per la propria liberazione e per la propria autodeterminazione, dei palestinesi, in particolare, ma non solo, di Gaza, il bilancio della escalation israeliana è inquietante ed assume i contorni di una vera e propria strage. Appena lo scorso 31 Maggio, mentre ancora gli Stati Uniti imponevano il veto, opponendosi ad una proposta di risoluzione in Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva misure «per la protezione dei civili palestinesi», la Croce Rossa lanciava l’allarme, denunciando a Gaza una crisi sanitaria e umanitaria «senza precedenti».
 
Chiaro dunque il quadro di responsabilità, è più che mai necessario mobilitarsi, a sostegno della resistenza e dell’autodeterminazione palestinese, e dando supporto alle forze democratiche presenti nella stessa Israele, che contrastano, anche in piazza, questa deriva sempre più aggressiva e sempre più violenta della destra israeliana. L’ormai prossimo attracco a Napoli, questa estate, della «Freedom Flotilla», sarà così un’occasione importante, per ribadire e fare crescere il nostro impegno con il popolo palestinese in lotta.