giovedì 7 febbraio 2019

In Venezuela, contro il «golpe continuato»

Foto: https://twitter.com/jaarreaza/status/1091801089861656576


Di fronte al «golpe continuato» promosso dagli Stati Uniti e sobillato dalla destra eversiva venezuelana, che ha portato lo sconosciuto Juan Guaidò ad auto-proclamarsi, con l’appoggio di Washington, presidente “ad interim”, non è inutile ricostruire il quadro e definire il contesto di questa ennesima violazione, precisando i termini della legittimità politica e costituzionale del processo bolivariano e del presidente legittimo. Nicolas Maduro si è insediato per il suo nuovo mandato presidenziale lo scorso 10 gennaio, dopo aver vinto le elezioni presidenziali del 20 maggio 2018, con il voto di 5.8 milioni di venezuelani e venezuelane (pari al 67,8% dei voti). Alle elezioni hanno partecipato quattro candidati e, sebbene una parte dell’opposizione di destra non ha partecipato al voto, il processo elettorale si è svolto in maniera regolare e trasparente, come accertato dai numerosi osservatori internazionali presenti. Ciononostante, e sebbene si sia trattato del 19° processo elettorale dal 2004 (data in cui fu istituito il voto elettronico) e avesse soddisfatto tutti gli standard internazionali (un processo estremamente efficace e trasparente), gli Stati Uniti, insieme con un gruppo di Paesi della regione con governi ostili al processo bolivariano (13 su 36), non hanno riconosciuto il risultato.

Le prese di posizione e le dichiarazioni degli esponenti dell’amministrazione Trump sono vere e proprie “armi” in sostegno alle opposizioni eversive di destra, al fine di sostenerne l’iniziativa golpista, di rovesciamento del presidente eletto, anche attraverso la violenza di strada e, nelle dichiarazioni della amministrazione USA, contemplando «tutte le opzioni», non escludendo persino la minaccia di una aggressione militare alla Repubblica Bolivariana. La circostanza nella quale matura il tentativo di golpe, dunque, è quella di una iniziativa ostile e di sostegno dichiarato ai progetti eversivi da parte degli USA e di diversi Paesi occidentali, che punta a esasperare la popolazione venezuelana, già alle prese con la guerra economica statunitense contro il Venezuela, fatta di sabotaggio economico e blocco economico. D’altra parte, non riconoscere il governo legittimo del Venezuela permette agli USA e ai loro alleati di promuovere e finanziare le azioni di destabilizzazione interna tese a facilitare il rovesciamento del governo, nonché di incrementare le azioni per bloccare e sabotare l’economia venezuelana, attraverso misure del tutto illegittime ed unilaterali. Il blocco economico impedisce il normale accesso al Venezuela di cibo, medicinali, beni di necessità, e chiude l’accesso ai finanziamenti internazionali attraverso una politica di blocco finanziario.

Peraltro, la situazione interna in Venezuela vede il parlamento, l’Assemblea Nazionale, in una situazione di “oltraggio” o “inottemperanza” costituzionale, dal momento che non ha rispettato le sentenze della Corte Suprema che ha sospeso alcune sue funzioni dal momento che ha integrato al suo interno deputati le cui elezioni sono state dichiarate illegittime perché viziate da brogli e irregolarità. È questo il motivo per cui il Presidente non può giurare davanti all’Assemblea Nazionale, in rispetto della Costituzione Bolivariana. Dopo le elezioni parlamentari del dicembre 2015, infatti, la Corte Suprema (TSG) dichiarò nulla l’elezione di quattro deputati; tra cui tre dell’opposizione al governo Maduro. Senza questi tre deputati, all’opposizione, che pure aveva vinto quelle elezioni, veniva a mancare la maggioranza qualificata dei due terzi, che le avrebbe garantito poteri maggiori nei confronti del governo e del Presidente. La maggioranza parlamentare, in mano alla opposizione, ha tuttavia deciso di non sottostare alla deliberazione del TSG, di insediare ugualmente i tre deputati e di porsi di conseguenza, secondo un successivo deliberato del TSG, in situazione di oltraggio alla Corte. Nella vigente situazione costituzionale venezuelana, in cui l’iniziativa legislativa è sia del Parlamento e dei cittadini, sia dell’Esecutivo (art. 204 Cost.), il Parlamento può varare leggi “organiche” solo con la maggioranza dei due terzi, mentre con la maggioranza dei tre quinti può licenziare leggi “abilitanti” (art. 203 Cost.), e le opposizioni hanno “solo” la maggioranza dei tre quinti, ma non quella, in virtù dei seggi contestati, dei due terzi, ecco che tale decisione ha determinato il conflitto istituzionale su cui è intervenuto il TSG e su cui, in maniera completamente illegittima e pretestuosa, fanno leva le opposizioni eversive e i poteri del «Washington Consensus» per dare fiato alla corrente propaganda violenta e golpista.

In questo contesto, merita una sottolineatura la posizione che, attraverso le Nazioni Unite, esprime l’orientamento conforme al diritto internazionale. Il segretario generale, Antonio Guterres, ha ricordato che l’ONU collabora solo con il governo riconosciuto del Venezuela, guidato dal presidente Nicolas Maduro, mentre il Consiglio di Sicurezza, riunito sulla crisi venezuelana lo scorso 26 gennaio, ha verificato, nell’assise della discussione, una maggioranza di 19 Paesi (contro 16) dichiaratasi a sostegno del governo legittimo e del suo presidente costituzionale, quindi contro la minaccia di aggressione e di qualsivoglia indebita ingerenza negli affari interni del Paese. A maggior ragione, dunque, grave la presa di posizione del governo italiano, che si unisce di fatto ad una delle richieste dell’opposizione eversiva, dichiarando, lo scorso 4 febbraio, di appoggiare «il desiderio del popolo venezuelano di giungere nei tempi più rapidi a nuove elezioni presidenziali libere e trasparenti». Perfino il percorso di dialogo, proposto da Messico ed Uruguay, e prontamente accettato dal governo bolivariano, è stato respinto dalla opposizione, che ha così, ancora una volta, reso chiari i propri intenti. Anche per questo è necessario tenere alta l’attenzione, a difesa della autodeterminazione del popolo venezuelano e del processo bolivariano, contro ogni ingerenza esterna ed inquietanti minacce interventiste.

Cuba: «Por el Equilibrio del Mundo»

Gorupdebesanez, CC BY-SA 3.0, from Wikimedia Commons



La Conferenza Internazionale del Programma Martiano, intitolata «Por el Equilibrio del Mundo», tra il 28 e il 31 gennaio di quest’anno, rappresenta un momento fondamentale di incontro e confronto tra politici e intellettuali da tutto il mondo sulle grandi questioni del presente, dalle prospettive del socialismo ai problemi della guerra e della pace, sul futuro del pianeta e, quest’anno, sulla bioetica e i grandi scenari e le maggiori sfide che essa dischiude.

Ma in quale Cuba la conferenza di quest’anno viene a collocarsi? Siamo in una Cuba che affronta un momento decisivo della sua storia e della sua evoluzione. Com’è noto, il prossimo 24 febbraio sarà celebrato un referendum popolare costituente, una forma inedita dentro la quale, dopo un dibattito lungo e appassionato, il popolo cubano dirà l’ultima parola in merito alla approvazione o meno del progetto di nuova Costituzione che, sottoposto a un lungo confronto popolare, ha visto numerose proposte già integrate e significative innovazioni già messe, su carta, nero su bianco.

La modifica della Costituzione porta con sé anche un aggiornamento del modello cubano in senso complessivo. Nel dibattito in corso a Cuba è forte la consapevolezza di questo tema; confrontandosi con osservatori e analisti, qui sull’isola, emerge chiaramente il fatto che il 24 febbraio non è un compimento, ma soprattutto un punto di partenza. Come ha riferito, anche sul Granma, tra gli altri, Ariel Terrero, «la trasformazione costituzionale comporta obiettivi complessi, per sviluppare la trasformazione del modello economico, sociale e politico del socialismo cubano, ed approfondire il processo di aggiornamento, che non è, sin qui, andato avanti alla velocità che i cubani immaginavano quando hanno avviato questo processo, ormai più di dieci anni fa». 

La sfida, sul piano politico, è far sì che si sviluppi una intensa attività legislativa, capace di coinvolgere pienamente sia la sfera politica sia quella sociale, affinché dal corpo della nuova Costituzione si sviluppino le nuove ramificazioni nel sistema legislativo del Paese. È ancora Ariel Terrero a sottolineare come uno di questi rami sia la cosiddetta «Legge della Impresa», in cantiere dal 2017, con l’obiettivo di dare compimento ad un quadro macro-economico complesso, basato sulla convivenza di diversi attori economici, replicando e diffondendo nel sistema economico cubano alcune buone pratiche che si sono già affermate in alcuni settori, come quelli del turismo, di alcuni servizi, e dell’agro-industriale. Si tratta di innestare una nuova dialettica economica e di aggiornare alcuni contenuti della formazione economico-sociale socialista.

La nuova Costituzione detta la nascita di una sorta di economia socialista plurale, in cui l’impresa statale resta l’attore fondamentale della economia socialista, ma viene adesso a condividere lo spazio economico nazionale con le cooperative, le forme miste, e le imprese private. Una sottolineatura che pure viene fatta è che non si tratta di “accettare” questa diversità o pluralità economica, quanto piuttosto di “costruire le condizioni” di una corretta co-esistenza di più attori economici; da un lato, gli attori privati e cooperativi verranno a collocarsi in un contesto economico-sociale socialista in cui resta il primato dell’impresa socialista e della pianificazione economica; dall’altro, la maggiore autonomia delle imprese statali dovrà fare i conti con non pochi problemi come, ad esempio, il sistema della “doppia moneta” e le limitazioni al commercio internazionale e alla catena degli approvvigionamenti imposti a Cuba da un pluridecennale blocco economico, il criminale bloqueo, imposto dagli USA, sistematicamente rigettato e condannato, non solo da Cuba, ma praticamente da tutte le Nazioni Unite, una pratica, questa del blocco economico e finanziario dell’Isola, vergognosa e criminale.

La partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici nel processo complesso di pianificazione, regolazione e gestione dell’economia nazionale non è solo una aspirazione della società, ma anche una leva per garantire successo al percorso e dare gambe al processo di decentralizzazione. Anche questa è una parola chiave: la nuova Costituzione delinea anche un ridisegno della verticale del potere e delle strutture territoriali, al fine di attribuire maggiore protagonismo ai municipi nella gestione dello sviluppo locale. Anche questa è una sfida, per un socialismo che guarda al futuro. «Meriti e conquiste sociali non sono mancati al socialismo nei Paesi in cui ha alzato la sua bandiera. Se si guarda ai Paesi in cui la ricchezza è privilegio di pochi e dannazione dei molti, il capitalismo non è l’alternativa».

La sfida, e il dibattito in corso a Cuba lo testimonia, per l’Isola oggi è di costruire un modello economico, sociale e politico in cui la prosperità economica e la giustizia sociale siano inestricabilmente intrecciate. È la missione appassionante di continuare a inventare, sviluppare e innovare, un modello originale, inedito, nazionale, di socialismo.