sabato 17 settembre 2022

La morte di Gorbačëv e la fine dell’URSS


Matsievsky; Andrei Sdobnikov - 11 October 2007, Public Domain, Commons

La morte, avvenuta lo scorso 30 agosto, di una figura di primo piano nella storia dell’ultima parte del Novecento, quale quella di Mikhail Gorbačëv, segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica tra il 1985 e il 1991 e, dal 1988, capo di stato dell’URSS, è anche l’inevitabile occasione per una riflessione di ordine politico circa i connotati e il lascito di quella esperienza storico-politica. Una riflessione, ovviamente, del tutto parziale, e dunque né preliminare, dal momento che la ricerca e la riflessione intorno all’esperienza storica e alla fine del socialismo dell’URSS costituiscono un cimento di lungo periodo tra storici e analisti politici, né, tantomeno, esaustiva, proprio per la vastità e l’ampiezza, la complessità e la profondità di quell’insieme di elementi e di problematiche che hanno caratterizzato la parte finale dell’evoluzione del sistema sovietico e, nella seconda metà degli anni Ottanta, la fine di quella specifica esperienza storica.

Proprio in quella specificità è possibile rintracciare la necessaria premessa, non solo di metodo, per una riflessione su questi temi: ciò che è venuto meno in Unione Sovietica, infatti, non è il socialismo, né il cosiddetto socialismo “reale” o “realizzato”, né tantomeno il comunismo, come idea, come ideale o come ideologia, a seconda delle diverse angolature prospettiche con cui si vuole guardare a tale fenomeno; ciò che è venuto meno in URSS è infatti una specifica realizzazione storica del socialismo, quella specifica esperienza, storicamente determinata, di socialismo che ha preso avvio con la Rivoluzione d’Ottobre nel 1917, si è strutturalmente, politicamente e culturalmente consolidata a cavallo tra gli anni Trenta e gli anni Settanta del secolo scorso, passando attraverso prove, cimenti ed esperienze storiche di portata epocale (dalla guerra mondiale alla guerra fredda, dalla decolonizzazione ai grandi progressi della scienza, della tecnologia e dell’informatica), e ha consumato la sua implosione proprio nel corso della lunga transizione degli anni Ottanta.

Su questo sfondo, la figura di Gorbačëv resta inevitabilmente associata, quale connotato prevalente storico-politico, alla fine dell’URSS: non certo nel senso, riduttivo, superficiale e soggettivistico, di poter imputare esclusivamente a lui e al nucleo dirigente sovietico della seconda metà degli anni Ottanta l’intera responsabilità della fine dell’esperienza storica del socialismo sovietico; bensì nel senso, più ampio, prospettico e problematico al tempo stesso, di dover individuare, insieme ai limiti, alle contraddizioni e agli errori nella direzione politica imputabili allo stesso Gorbačëv e a quel gruppo dirigente, anche le motivazioni di carattere strutturale e politico-generale che sono alla base dell’implosione e della caduta dell’URSS. Si tratta di un tema vasto e aperto, che non è possibile risolvere in brevi riflessioni; ma, al tempo stesso, di un tema che interroga profondamente, per quanto paradossale possa sembrare, anche il nostro presente, intorno ai nodi strategici della pianificazione dell’economia e dell’organizzazione della società, del ruolo centrale dei lavoratori e delle lavoratrici, nella loro organizzazione politica e sindacale, ai fini della direzione generale del Paese, e del carattere internazionalista e antimperialista sulla scena-mondo internazionale.

In questa cornice, proprio la problematica messa in discussione del principio universalistico, dell’idea cioè dell’organizzazione complessiva, della direzione generale e dello sviluppo integrale, equilibrato e armonico di un sistema complesso come quello sovietico (15 repubbliche, 20 lingue principali, oltre 100 gruppi etnici) ispirata da Gorbačëv e dal gruppo dirigente degli anni Ottanta, costituisce, se non il decisivo, certo un non secondario elemento nel processo di disgregazione che ha poi portato alla fine dell’esperienza sovietica: la complessità dell’articolazione politica intorno a un «centro» costituito dal partito comunista veniva cioè surclassata dalla complessità, col superamento di tale centralità, della frammentazione politica, riconoscendo tendenze e istanze potenzialmente estranee all’evoluzione storico-politica sovietica sino a quel punto.

Sino al punto per cui (1990) «la vasta democratizzazione attualmente in corso nella nostra società è stata accompagnata da un crescente pluralismo politico. Diverse organizzazioni e movimenti, politici e sociali, emergono. Tale processo potrà condurre alla costituzione di partiti diversi». Da qui, con la legge n. 1360-I del marzo 1990 fu emendata la costituzione sovietica in vigore (1977) cancellando il ruolo del partito, come forza dirigente della società e dello Stato, accomunandolo ad altre organizzazioni politiche in generale. Elemento di una trasformazione di sistema che non avrebbe mancato ovviamente di alimentare confronto e discussione non solo in Occidente ma anche nell’allora esistente campo socialista, nel momento in cui, ad esempio, in Cina, veniva confermato il ruolo storico del Partito, e a Cuba, in quello stesso periodo (1991), si confermava viceversa che «il pluripartitismo è il grande strumento dell’imperialismo per mantenere le società frammentate, divise in mille pezzi; trasforma le società in società impotenti per risolvere i problemi e difendere i loro interessi. [...] Un Paese frammentato in dieci pezzi è un Paese perfetto per dominarlo, per soggiogarlo, perché non esiste una volontà della nazione, dato che la volontà della nazione si divide in molti frammenti, lo sforzo della nazione si divide in molti frammenti, le intelligenze tutte si dividono e quello che c’è è una lotta costante e interminabile tra i frammenti della società. [...] Un Paese del Terzo Mondo non se lo può permettere».

Più generale e più complesso è infatti il tema dell’organizzazione sociale e della direzione politica di società sempre più articolate, non banalmente riducibile alla mera esistenza di uno, due o più partiti, fermo restando, peraltro, il principio fondamentale dell’autodeterminazione, che nel diritto internazionale viene esattamente declinato nei termini per cui, tra i fini delle Nazioni Unite, vi è quello di «sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-determinazione dei popoli, e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale» (Statuto, art. 1, c. 2); «tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione, in virtù del quale decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale» (Patto internazionale sui diritti civili e politici, 1966, art. 1, c. 1); significa cioè, sulla base della evoluzione storica e sociale dei singoli Paesi, «il diritto di ciascuno Stato di scegliere e sviluppare liberamente il proprio sistema politico, sociale, economico e culturale, nonché quello di determinare le proprie leggi e i propri regolamenti» (Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, Atto Finale di Helsinki, 1975, capo I, § 1).  


Matsievsky, Public Domain, Wikimedia Commons

L’insieme delle politiche di riforme e rinnovamento del sistema e della società sovietica portate avanti da Gorbačëv e dal nucleo dirigente degli anni Ottanta è stato, di volta in volta, giudicato sulla base di parametri diversi: nelle sue motivazioni dichiarate, un tentativo di riforma, di democratizzazione e di modernizzazione della società sovietica nel suo complesso; nei suoi esiti vissuti, un vero e proprio processo di trasformazione che ha allestito i presupposti e le condizioni per la lunga e caotica transizione post-sovietica degli anni Novanta. Le parole, all’insegna della quale tale transizione fu avviata e alle quali resta storicamente associata la figura di Gorbačëv, sono, senza dubbio, quelle della «riforma» (sul piano strutturale, ad esempio, la cessione in fitto di lunga durata della terra ai contadini, la possibilità di aprire attività economiche private, la liberalizzazione dell’attività delle imprese di Stato), della «glasnost’» (trasparenza, vale a dire, sul piano politico, la riduzione del controllo sui mezzi di informazione, la comunicazione, i viaggi all’estero), e della «perestrojka» (ristrutturazione, in senso generale, che sempre più si tradusse in un nuovo modello di sviluppo con la riduzione progressiva dell’intervento statale e la parallela «apertura» alla proprietà privata).

Sotto il profilo storico e politico, la complessità di tale processo di trasformazione è accentuata dal fatto che non si trattò né di un fenomeno limitato alla sfera politica o alla sfera economica, bensì, per volontà dei loro stessi ispiratori e proponenti, di un fenomeno di portata ampia e generale volto alla rigenerazione e alla modernizzazione della società e del sistema in tutte le loro articolazioni; né, tantomeno, di un processo lineare e regolare, bensì segnato da accelerazioni e frenate, svolte e revisioni, talvolta all’insegna di una capacità di «manovra» che Gorbačëv stesso avrebbe, a più riprese, rivendicato. Interessanti, in tal senso, alcuni passaggi di una sua intervista a Jonathan Steele, pubblicata dal Guardian il 16 agosto 2011, in cui, in premessa, l’intervistatore ricorda che «a partire dalla primavera del 1991, Gorbačëv si trovò in mezzo tra due potenti tendenze che andavano riducendo sempre più il suo spazio di manovra: da una parte, i conservatori nel partito, che provavano a cambiare verso alla sua politica; dall’altra, i riformatori, che desideravano stabilire un sistema completamente multipartitico, e dirigere il Paese verso riforme di mercato». Si tratta della stessa intervista nella quale Gorbačëv esplicitamente dichiara che «avrei dovuto cogliere l’occasione di formare un nuovo partito e dimettermi dal partito comunista. Era diventato un freno alle riforme che pure il partito stesso aveva avviato». Uscito dal centro della scena, dopo la fine dell’URSS del dicembre 1991, Gorbačëv è stato fondatore del Partito Socialdemocratico di Russia (nel 2001), poi della Unione dei Socialdemocratici (nel 2007) e, infine, del Partito Democratico Indipendente di Russia (nel 2008). 

 

Matsievsky, Public Domain, Wikimedia Commons

Al di là della dinamica del processo storico degli anni Ottanta, la fine dell’esperienza storica del socialismo in URSS ha portato, in generale, un drammatico peggioramento delle condizioni materiali di esistenza della popolazione. In base ai dati, tra la metà degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta, il PIL della Russia è sceso del 40%, i salari si sono dimezzati, la povertà è passata da 2.2 milioni (meno dell’1% della popolazione) nel 1987-1988 a 66 milioni nel 1993-1995 (più del 40% della popolazione). Incalcolabile il numero di persone morte in conseguenza della fine dell’URSS e delle misure della shock therapy (apertura radicale al mercato, fine delle protezioni sociali, dismissione e privatizzazione della proprietà pubblica) applicata dopo la fine dell’URSS; il coefficiente Gini, principale misuratore della diseguaglianza sociale, è passato dal 28% nel 1990 al 40% nel 2000. Nel 1994 la speranza di vita per gli uomini non arrivava a 58 anni.

Se, come accennato all’inizio, il giudizio storico si affinerà nel tempo lungo della storia, con lo sviluppo e l’avanzamento degli studi e delle ricerche, l’opinione delle persone è già stata, a più riprese, confermata: come indicato dalle rilevazioni del Levada Centre, più del 60% dei russi oltre i 35 anni (2017) rimpiange l’URSS e più del 50% ritiene che Stalin sia stata una figura «principalmente positiva» per il Paese (2019). Esaurita quell’esperienza storica realizzata e specifica, storicamente determinata, resta aperto e attuale il tema del socialismo, dell’organizzazione della proprietà statale dei mezzi fondamentali della produzione, della pianificazione e della programmazione della dinamica economica nei suoi molteplici comparti in società sempre più dinamiche e complesse, dell’organizzazione della società e dell’affermazione dei lavoratori e delle lavoratrici alla direzione del Paese, della lotta contro l’imperialismo e per un mondo sempre più policentrico e multipolare, delle grandi questioni della guerra e della pace, in una parola, appunto, del socialismo, con i suoi affinamenti e le sue attualizzazioni, come prospettiva di trasformazione.


Riferimenti:

1. Excerpts of Gorbachev Speech to Central Committee With AM-Soviet-Party, AP, February 6, 1990:

apnews.com/article/5011f29fba9f7d9c4ae812ca4b5a53ec

2. Perché a Cuba c’è un unico partito? Frammento del discorso pronunciato dal Comandante in Capo Fidel Castro Ruz durante la chiusura del X Periodo Ordinario delle Sessioni della Terza Legislatura dell’Assemblea Nazionale del Potere Popolare, Granma, 17 agosto 2018:

it.granma.cu/cuba/2018-08-17/perche-a-cuba-ce-un-unico-partito

3. New Year Address by President Xi Jinping, December 31, 2021:

fmprc.gov.cn/mfa_eng/wjdt_665385/zyjh_665391/202112/t20211231_10478096.html

4. Atto finale di Helsinki, Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, 1 agosto 1975:

osce.org/it/mc/39504

5. Richard Parker, Inside the Collapsing Soviet Economy, The Atlantic, June 1990:

theatlantic.com/magazine/archive/1990/06/inside-the-collapsing-soviet-economy/303870

6. Mikhail Gorbachev: I should have abandoned the Communist party earlier, Interview with Jonathan Steele, The Guardian, 16 agosto 2011:

theguardian.com/world/2011/aug/16/gorbachev-guardian-interview

7. Vincenzo Comito, L’economia russa post-sovietica, Sbilanciamoci, 17 marzo 2022:

sbilanciamoci.info/leconomia-russa-post-sovietica

8. Andrea Montanari, Dalla caduta dell’Unione Sovietica all’economia di mercato: cosa è successo?, Orizzonti Politici, 3 dicembre 2021:

orizzontipolitici.it/dalla-caduta-unione-sovietica-come-successa

9. Opinions about the Soviet Union, Levada Center, 07 agosto 2019:

levada.ru/en/2019/08/07/the-soviet-union

10. Nostalgia for the Soviet Union, Levada Center, 25 dicembre 2017:

levada.ru/en/2017/12/25/nostalgia-for-the-ussr

11. Stalin’s perceptions, Levada Center, 19 aprile 2019:

levada.ru/en/2019/04/19/dynamic-of-stalin-s-perception

12. Xie Maosong, L’epitome dei 100 anni del Partito Comunista Cinese, Intervista con Giulio Chinappi, L’Antidiplomatico, 14 Gennaio 2022:

lantidiplomatico.it/dettnews-lepitome_dei_100_anni_del_partito_comunista_cinese/5694_44769