domenica 27 aprile 2014

Alla prova della controrivoluzione: le basi marxiste del “socialismo del XXI secolo”

Un aspetto che riveste rinnovata importanza nello scenario attuale del Venezuela Bolivariano è senza dubbio l'economia nazionale. Sebbene il peggioramento delle condizioni economiche sia prevalentemente dovuto a motivi “artificiali”, come l'aggressione speculativa contro la moneta nazionale, l'accaparramento ed il sabotaggio economico da parte dei gruppi privati e degli speculatori nazionali e internazionali, in una parola, una vera e propria “offensiva di classe”, in cui la guerra di classe è sviluppata dai “ricchi” contro i “poveri”, è altrettanto vero che, dopo mesi di destabilizzazione, proprio la “congiuntura economica” sembra oggi essere la debolezza maggiore del governo bolivariano, almeno nella percezione di settori popolari, al punto che nei sondaggi sembra essere diventata, comprensibilmente, la preoccupazione maggiore dei venezuelani. Ad avere precipitato, oltre alle “cause scatenanti” sopra richiamate, il Paese nella situazione attuale è, poi, l'effetto combinato di due fenomeni macro-economici ben noti alla letteratura e alla prassi: l'inflazione e la carenza di beni. 
Oggi, questa situazione rischia di rappresentare la contraddizione saliente per la continuità stessa del progetto bolivariano: non tanto per le conquiste della rivoluzione, quanto soprattutto per la continuità dei progressi sin qui realizzati proprio in campo economico e sociale. In tal senso, è opportuno richiamare alcuni degli “insegnamenti” della esperienza chavista: che la rivoluzione non è una formulazione teorica astratta sulla felicità, né è un'astrazione utopica o un “sogno delle élite rivoluzionarie”, né, tanto meno, la promessa aerea di un paradiso presunto. La rivoluzione (in particolare, la rivoluzione bolivariana tra le altre rivoluzioni socialiste del passato e del futuro) è un processo storico e sociale, all'interno del quale giungono a maturazione le condizioni per abrogare lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, per realizzare la proprietà sociale della produzione, anche attraverso l'espropriazione della proprietà privata delle élite, per coniugare, infine, libertà, giustizia sociale e diritti umani. La società civile ha sempre, almeno da quando Karl Marx ha reso tutti consapevoli di questo fondamentale, l'economia alla base: e Wall Street rappresenta - anche simbolicamente - la contraddizione tra l'1% e il 99%. 
Quando, nel Venezuela di oggi, si parla di accaparramento e di speculazione, e, in particolare, di carenza di beni, si tende, spesso strumentalmente e maliziosamente, a confondere i “consumi” e il “consumismo”. Il consumismo è un'aberrazione derivata dal capitalismo, vale a dire dal modo di produzione capitalistico, che tende inevitabilmente (per le ragioni stesse dell'accumulazione capitalistica) alla sovrapproduzione ed alla massimizzazione del profitto e che si verifica quando i capitalisti, attraverso vari mezzi, creano nelle masse bisogni falsi (indotti) verso beni superflui (inutili). È bene osservare il fenomeno, eminentemente di natura economica, anche da un altro punto di vista, soprattutto sociale: si tratta, infatti, di un altro modo per espropriare i lavoratori, attraverso il quale non solo si sottrae il plusvalore prodotto, ma si sottrae anche una quota di valore-lavoro che, incorporato nel salario, finisce per volatilizzarsi nella ricerca di beni superflui e nell'appagamento di bisogni indotti. Il circuito pubblicitario e la guerra di classe attraverso la “comunicazione” (altra forma della “guerra di quarta generazione”, come pure la si definisce) partecipano attivamente a questo stato di cose, al punto che oggi il terreno mediatico è uno dei fronti dello scontro sociale. Il consumo, in quanto tale, è invece, piuttosto, la manifestazione del diritto di ottenere ciò che serve per vivere o, in altri termini, per riprodurre, attraverso il salario, la propria forza-lavoro (alloggio, vitto, vestiario, salute, istruzione, arte, spettacolo, cultura, informazione, insomma, tutto quanto concorre alla vita degna). 
Se le ristrettezze limitano la possibilità delle persone di ottenere tali beni, il governo rivoluzionario deve intervenire per affrontare il problema. Non a caso, Nicolas Maduro ha ripetutamente affermato che l'economia è il tema prioritario di quest'anno politico, conseguenza delle guarimbas economiche, cavalcate dai settori della borghesia più violenta, radicale e squadrista, e da una decelerazione del processo economico legato al socialismo bolivariano, probabilmente inevitabile e, per altri aspetti prevedibile, ma su cui si può e si deve intervenire. Dopo l'offensiva rivoluzionaria contro l'accaparramento e la speculazione, Nicolas Maduro, a margine dei Dialoghi di Pace con l'opposizione, ha annunciato una nuova offensiva: "Produrre tutto ciò che serve... Qualsiasi persona che produce qualcosa deve sentirsi chiamata in causa in questo sforzo... Chiamo tutti i cittadini a diventare produttori"; ciò anche allo scopo di superare la dipendenza dalle entrate petrolifere e risolvere le inevitabili distorsioni da questa prodotte nei meccanismi di produzione di beni e servizi. Ancora Nicolas Maduro: "L'offensiva economica ha il carattere di una grande rettifica... Il passo da intraprendere sarà quindi più completo, più profondo e più strutturale rispetto ai mesi scorsi". È necessario diversificare la produzione e allargare le cosiddette “basi materiali” della produzione stessa, superando la dipendenza dal petrolio, anche con una maggiore capacità di sviluppare investimenti, e migliorare il potenziale tecnologico della produzione nazionale, con un atteggiamento aperto, anti-dogmatico, creativo, coraggioso, innovativo, come sempre in tutte le pagine migliori del “Socialismo del XXI secolo”, non disdegnando di aprire un confronto costruttivo con i settori più aperti della borghesia nazionale ed internazionale. 
Chiaramente, tutto ciò richiede accortezza e strategia. Non è una cosa facile, perché questo programma si scontra con gli attacchi sia da destra, conservatori, neo-liberali, che pretendono il dominio dell'economia di mercato, sia dall'ultrasinistra, utopistici, dogmatici, che accusano di “consumismo” tutte le istanze dei “consumatori”. Per affrontare una questione così complessa, Nicolas Maduro ha annunciato diverse misure, tra cui la Conferenza Economica nell'ambito della Conferenza di Pace, con un incontro tra rappresentanti del gabinetto economico e settori produttivi, sia dell'economia pubblica sia dell'economia privata. Al contempo, la Conferenza serve a confermare l'orientamento socialista dell'economia nazionale, per rendere chiaro che lo Stato conserva il suo potere di controllo e di direzione, come dimostra anche la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge che definisce il meccanismo pubblico dei prezzi equi: "Sarà una Autorità di Controllo dei Prezzi, attraverso gli ordini e i contratti, quella incaricata di stabilire il giusto prezzo di ogni articolo, mantenendo i prodotti al giusto prezzo e a pari condizioni". Nicolas Maduro ha inoltre confermato che questa fase della offensiva economica si sviluppa intorno a undici assi: l'industria del petrolio, l'industria chimica, le costruzioni, la manifattura, la meccanica, il tessile, il calzaturiero, l'agricoltura, il turismo, le comunicazioni e la tecnologia. Una strategia adeguata da articolare con cura. 
 

martedì 22 aprile 2014

di Pace e di Disarmo... orientamenti a Sinistra

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Alla vigilia della kermesse della “Arena di Pace e Disarmo” si moltiplicano le riflessioni destinate ad accompagnare i diversi profili tematici di quella che si annuncia come la manifestazione più importante del movimento italiano per la pace, almeno insieme alla prossima Marcia della Pace Perugia-Assisi in programma per il 19 Ottobre, di quest'anno.

Certo, non hanno mancato di destare sconcerto alcune presenze, diciamo così, controverse, in primo luogo quella di Simone Cristicchi, già coinvolto in una lunga polemica per il carattere neo-revisionistico del suo ultimo spettacolo sul fronte orientale (“Magazzino 18”), polemiche che pure, per altro verso, hanno avuto il “merito” di rimettere attenzione sulla controversa vicenda del fronte orientale, degli episodi di guerra, della pulizia etnica fascista, delle “foibe” e delle eredità del conflitto e della liberazione.

Le vicende di guerra, dunque, tracimano, precipitando quotidianamente nel nostro presente. Intanto, le vicende del passato, che non riguardano solo il secondo, quanto oggi soprattutto il primo conflitto mondiale: basti considerare la pubblicistica, eminentemente occidentale, su cause e responsabilità dello scoppio del conflitto, le ambiguità delle kermesse internazionali che “celebrano” il centenario tra sponsor non esattamente di pace (non solo USAID) e partecipazioni non esattamente bilanciate (i serbi ampiamente esclusi), come nel caso, assai controverso, del Sarajevo Peace Event di Giugno 2014.

E poi le vicende del presente, che evidentemente continuano ad imbarazzare, anche tra le forze più consapevoli a sinistra, analisi a volte superficiali e sbrigative. Basti considerare una recente presa di posizione, in merito all'invio di “forze di pace” in Ucraina, da parte di Francuccio Gesualdi, alla quale sarebbe bene ricordare, almeno, che l'intervento dei Corpi Civili di Pace può avvenire solo su una, comunque leggibile, richiesta locale; deve muoversi in una cornice di legittimità e indipendenza dalle formazioni militari sul campo; e non può e non deve prestarsi a manipolazioni ed a strumentalizzazioni di sorta.

Nel caso ucraino, è bene ricordare che la “controparte” dei movimenti che si sono sollevati nelle regioni russofone è un governo illegittimo, salito al potere con un golpe, in cui una parte preponderante hanno avuta formazioni fasciste e naziste. Forse, non è del tutto inutile ricordare che l'azione, civile, disarmata e nonviolenta, dei Corpi Civili di Pace, si sviluppa, al tempo stesso, “sopra” e “dentro” il conflitto, e, pertanto, non può prescindere da un'attenta analisi del conflitto stesso, dai suoi presupposti e le sue motivazioni, dalle sue evoluzioni e i suoi svolgimenti, sino alla dinamica e alle conseguenze, sempre dolorose, che produce.

Anche per questo, a dispetto di quanto sbrigativamente scritto in un recente documento di alcuni enti di pace per il Servizio Civile, i Corpi Civili di Pace svolgono una «azione civile, non armata e nonviolenta di operatori professionali e volontari che, come terze parti, sostengono gli attori locali nella prevenzione e nella trasformazione dei conflitti. L'obiettivo degli interventi è infatti la promozione di una pace positiva, intesa come cessazione della violenza ma anche come piena affermazione di diritti umani e di benessere sociale».

Di conseguenza, lungi dal «partecipare a briefing periodici sulla sicurezza con missioni militari ONU e italiane nella zona di intervento» come prescrive il - talvolta strampalato - documento per il Servizio Civile, andrebbe piuttosto ricordato che «con gli attori armati - regolari e non regolari - non sono ammesse forme di collaborazione o sinergia né scorta armata; può esserci dialogo finalizzato alla gestione nonviolenta del conflitto o scambio di informazioni sulla sicurezza, ove ciò non pregiudichi la legittimità nonviolenta della missione, in termini di modalità d’azione e di ricezione presso le parti».

Diciamo che anche stravolgere contenuti faticosamente condivisi per qualche fine altro non è esattamente un bel segnale. I CCP sono uno strumento importante, che parla di un altro modello di difesa civile, popolare, nonviolenta, di cui è bene e necessario avere cura, senza gettarlo nella mischia delle occasioni perdute. Anche per questo siamo tutti, al di là dei limiti e delle contraddizioni, fiduciosi negli sviluppi della Arena di Pace e Disarmo, «per essere parte del cambiamento che vogliamo vedere nel mondo».