lunedì 19 settembre 2016

Quale Sinistra, un testo per interrogarci

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Appena pubblicato (settembre 2016) nella collana “Atena” delle edizioni Rogas, il volume di Tonino Bucci e Giulio Di Donato, Quale Sinistra, si iscrive nell'ambito della più recente pubblicistica dedicata al tema della sinistra, alle forme e alle pratiche di una moderna ed attuale sinistra politica, alle condizioni e alle condotte dell'agire politico nel tempo presente della crisi e dello smarrimento, e si propone come saggio politico sul tema della “rifondazione della sinistra”, ovvero della praticabilità stessa della sinistra politica “oggi”.
 
In questo senso, l'agile volume (112 pagine) rappresenta un contributo - senza enfasi - importante, sia nel senso di un utile presupposto per successivi approfondimenti ed ulteriori elaborazioni (ed in questo senso rivela forse la sua vitalità più interessante), sia nella direzione di un prezioso strumento di lavoro per quanti, militanti ed attivisti, intellettuali e simpatizzanti, animatori della battaglia politica o protagonisti delle mobilitazioni sociali, sono oggi impegnati nel cimento della costruzione di una nuova soggettività politica della sinistra o - in termini più immediati - di un rinnovato referente politico dell'iniziativa sociale.
 
I successivi approfondimenti e le ulteriori elaborazioni cui il volume naturalmente si offre seguono le chiavi di lettura entro le cui coordinate il testo pare offrire il meglio della propria riflessione, condotta generalmente con un linguaggio piano ed efficace, lontano, il più delle volte, da “politicismi” e “tecnicismi”, ed una prosa elegante e lineare, adeguata a tratteggiare il profilo di un “pensiero lungo” che, pur non potendo il volume scandagliare ed approfondire, si rivela adeguato all'obiettivo della pubblicazione e si pone, in quanto tale, “controcorrente”, alieno, per fortuna, tanto alla “frase ad effetto” quanto al vuoto “luogo comune”.
 
Sebbene i tre piani di lettura che il volume offre siano piuttosto asimmetrici, essi tuttavia sono altrettanto facilmente delineati tra le pagine del “discorso”: in primo luogo, una riflessione sulle forme della politica, a partire dal linguaggio, dalla comunicazione e dal contenuto relazionale dell'agire politico, che occupa le prime pagine del volume e si lega idealmente alla sua conclusione, coerentemente protesa alla individuazione di suggestioni utili (sotto il profilo teorico-politico e nella linea di orizzonte politico-programmatica) per la “Sinistra” che sarà; in secondo luogo, una disamina circa la funzione politica della soggettività, l'orizzonte politico dell'agire umano e la sfera della politica come campo di relazione e pratica dell'organizzazione sociale (con riferimenti più approfonditi ad Aristotele e Machiavelli che a Platone e Marx); in terzo luogo, una ricapitolazione del «come eravamo» e dei presupposti storico-politici e storico-economici della crisi della sinistra e del fallimento delle proposte di sinistra che - nell'Europa continentale in primo luogo - si sono succedute nel corso delle ultime due generazioni, nell'arco degli ultimi, grosso modo, quaranta anni.
 
Gli argomenti che il volume passa in rassegna, sinteticamente e rapidamente, non sono pochi: ciò concorre a stimolare costantemente il lettore e a regalargli una lettura agile e vivace; d'altra parte, lascia senza risposta alcune domande (non male, se pensiamo agli ulteriori approfondimenti che si rendono necessari) ed è costretto a «tagliare con l'accetta» alcune questioni, forse marginali nello scenario più complessivo, ma non per questo meno rilevanti per il lettore italiano. Come ad esempio quando gli Autori affermano che «non se la passa bene la sinistra residua del PD renziano, che ha definitivamente traghettato l'elettorato tradizionale del partito verso altre simbologie e suggestioni, declinate sulla questione del potere e della sua amministrazione» (p. 11); ovvero, poco dopo, quando definisce il maggiore dei partiti della “sinistra a sinistra” del centro-sinistra, «Rifondazione attaccata pervicacemente alla «questione comunista» (p. 12).
 
Non è così, si potrebbe dire semplificando, nell'uno come nell'altro caso. Quella che altri osservatori hanno definito la «mutazione genetica» del PD, lungi dal consistere nella mera sussunzione del suo spettro politico nella «questione del potere e della sua amministrazione» (questione dirimente, ma non esclusiva), consiste invece nel compimento stesso della sua parabola, “in nuce” nel PDS e “deflagrata” al Lingotto, riformista, compimento che fa oggi il PD, meno banalmente che partito neo-liberista o neo-centrista, tra i più coerenti interpreti in Europa del riformismo neoliberale, ispiratore del cosiddetto “centrosinistra degli anni Novanta”, alla Tony Blair (non a caso uno dei punti di riferimento ideologici, con Bill Clinton, dello stesso Renzi).
 
Verrebbe da dire - con una battuta - se questa cornice di riferimento resta valida, magari fosse «Rifondazione attaccata pervicacemente alla «questione comunista». Al contrario, ciò che impedisce oggi a Rifondazione Comunista di porsi credibilmente, da protagonista, al centro di un processo di rigenerazione ed innovazione della sinistra di trasformazione non è tanto l'attaccamento alla «questione comunista» (pur essendosi fortemente ridotta la capacità di innovazione politico-ideale e di interlocuzione con i più recenti fermenti sociali che questo partito è oggi in grado di esprimere), quanto piuttosto la sua incapacità di rigenerazione, di rinnovamento dei gruppi dirigenti, di ridefinizione della sua articolazione organizzativa, di ridefinizione della sua linea e di aggiornamento della sua prospettiva. Non si tratta, cioè, della «questione comunista», ma della riproposizione della questione comunista in quanto aggiornata e adeguata alle contraddizioni del presente.
 
In questo senso, il volume ha il merito di porre a tema la domanda centrale: quale prospettiva offrire alle contraddizioni del presente, ovvero, più semplicemente, quali coordinate entro cui modernamente declinare la questione, vitale per la sinistra, della “emancipazione dal bisogno”, della “liberazione dallo sfruttamento” e, di conseguenza, della trasformazione della società. A tale domanda non si può rispondere - semplicemente - con la declinazione dei principi del socialismo; si deve affrontare il “corpo a corpo” con la realtà, segnata dalla crisi strutturale del capitale, individuare il tono prevalente delle contraddizioni sociali e le matrici salienti delle odierne forme di sfruttamento, oppressione e marginalizzazione, caratterizzare una proposta conseguente, che sappia coniugare la prospettiva del potere politico con quella della liberazione sociale.
 
Se, da una parte, «la politica contemporanea ha restituito attualità alla questione della lingua come rapporto tra élite e popolo e, di conseguenza, la sua crisi può essere letta alla stregua di un disturbo linguistico» (p. 16), dall'altra l'obliterazione del tema dei rapporti di forza all'interno della società e la semplificazione del conflitto a mera questione “tra élite e popolo” apre la strada a una vera e propria aberrazione sociale e politica, quella di fare del popolo il soggetto unitario (che non è) della domanda di cambiamento e di trasformazione.
 
Come giustamente ricordano gli Autori più avanti, la questione sociale precipita non in una domanda di cambiamento “quale che sia”, ovvero in una mera “evocazione” del cambiamento, bensì in una proposta “positiva” di cambiamento sociale e politico, che non lo riduca ad una mera funzione linguistica, bensì lo consolidi in una istanza di trasformazione: non a caso, oggi, «il risveglio della politica in Europa [...] sembra avvenire solo a vantaggio di forze populiste che si alimentano di sentimenti esclusivamente “negativi”, di paura, insicurezza, frustrazione, ansia di perdere senso e identità» (p. 26). 

Come è vero che «in tutti i movimenti di protesta nati in Europa negli ultimi anni ed etichettati dal mainstream dei media come populismi [pur con tutte le loro differenze] - da Podemos al M5S - si può rintracciare lo stesso meccanismo di contrapporre nel discorso politico “alto” e “basso”, élite e popolo, governanti e governati (p. 43)», così è almeno altrettanto vero che nel discorso populista si può incardinare un dispositivo di potere (o funzionale al potere), molto meno una efficace politica di trasformazione sociale e di liberazione dei soggetti più esposti, più deboli, più vulnerabili, della società capitalistica (come peraltro la stessa parabola del M5S potentemente conferma). D'altro canto, «ovunque vi siano inquietudini, disagi, aspettative andate a vuoto, gli individui possono dare vita a nuovi soggetti politici. Nessuna comunità può ritenersi al riparo da fratture» (p. 40).
 
Nel passaggio dalla cornice analitica alle indicazioni programmatiche, il volume rivela alcuni altri tratti interessanti. Fa proprio l'orientamento di chi ritiene, con Gramsci, la dialettica tra fattori oggettivi ed elementi soggettivi e la definizione del soggetto sociale della trasformazione gli elementi cruciali di questo cimento rivoluzionario. Assume la prospettiva, diametralmente opposta alla “ragione populista”, della «chiamata alla lotta politica rivolta all'intero mondo dei vecchi e nuovi sfruttati (disoccupati, precari, lavoratori dipendenti, partite IVA alle prese con diminuzione dei diritti e tagli dei compensi etc.), sul modello “proletari (vecchi e nuovi) di ogni dove unitevi e organizzatevi” (p. 72)», come istanza decisiva ai fini della ridefinizione di un blocco sociale di riferimento. Riconosce, sempre a proposito della dialettica tra fattori oggettivi ed elementi soggettivi, che «la rinascita della sinistra è ora suscitata da un evento, da una rottura (il lungo ciclo di lotte sociali in Grecia o l'irruzione degli indignados in Spagna). Nel frattempo, si fa largo un bisogno forte di rottura e radicalità a sinistra, lo stesso che matura anche fuori dai nostri confini, basti pensare al successo di Corbyn in Gran Bretagna e al fenomeno Sanders negli Stati Uniti» (p. 75).
 
E tuttavia cade, nello sforzo di sintesi con cui si cimenta, in una contraddizione, da un lato proponendo di «ripartire dal grado zero della politica, dal suo abc, dal suo senso... più profondo e autentico. Quasi un ritorno alla fine dell’Ottocento» (p. 71); dall'altro, poco oltre, di recuperare l'orizzonte del socialismo come “cruciale” ai fini della emancipazione sociale e della trasformazione generale. Ovviamente, «perché valga ancora il richiamo a un orizzonte di socialismo, inteso come [...] liberazione umana dallo sfruttamento e dalla alienazione, come capacità effettiva e concreta di partecipare all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese […]. Perché senza quella tensione, ... si rischiano nuove subalternità e nuovi ripiegamenti». 
 
Ci si riconnette, per questa via, come accennato più sopra, alla parte iniziale del volume: ma forse, più che superare «divisioni e identità del secolo scorso (riformisti-rivoluzionari, socialisti-comunisti), per recuperare il senso ultimo della propria missione politica» (p. 82), si tratta, soprattutto alla luce delle responsabilità della cosiddetta sinistra “riformista” nel precipizio di crisi, smarrimento ed anonimia nel quale è caduta l'Europa, proprio di precisare il senso di questa missione politica, contro l'asettico riformismo della terza via, del blairismo e del neo-liberalismo, nella direzione, viceversa, di una rigenerata e rinnovata potenzialità rivoluzionaria, in grado di parlare il linguaggio e di comporre le pratiche della giustizia e della libertà.