lunedì 27 giugno 2022

La nuova prospettiva dell’allargamento della UE

 
Xavier Häpe, European flag outside the Commission -
www.flickr.com/photos/vier/192493917/, CC BY 2.0,
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È stata pubblicata, lo scorso 22 giugno, la bozza di relazione della Commissione Affari Esteri del Parlamento Europeo che dovrebbe costituire la base per una raccomandazione del Parlamento stesso al Consiglio, alla Commissione Europea e all’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune per la definizione della nuova strategia per l’allargamento dell’Unione Europea. Si tratta di un documento di notevole interesse: enuclea gli elementi fondamentali che dovrebbero caratterizzare la strategia europea in questione e, prima ancora, la possibilità di rilanciare questo elemento della costruzione comunitaria, a lungo considerato caratterizzante per la prospettiva strategica dell’Unione e che si è rivelato invece sostanzialmente fallimentare, da molti anni ormai in “stallo”. Non solo: serve ad indicare anche il “nuovo volto” assunto dalla prospettiva europea sullo sfondo del conflitto tra la Russia e la NATO in Ucraina, e della contraddizione strategica, per la quale, se da un lato l’UE sarebbe chiamata a svolgere un ruolo di fronte alle crisi che si sviluppano sul continente, dall’altro la stessa UE si mostra sempre più complementare, quando non subalterna, all’impostazione strategica degli USA e della NATO.

Le politiche di allargamento della UE in crisi

La prospettiva dell’allargamento rischia, alla lettura del documento, di essere piegata a questa impostazione: la strategia dell’allargamento rischia cioè di diventare un improprio strumento politico al servizio dello scontro che contrappone lo “schieramento occidentale” e la NATO alla Federazione Russa e alla prospettiva, da quest’ultima delineata, di consolidare i contesti multilaterali, a partire dall’alleanza con la Cina, dall’Unione Economica Eurasiatica, dall’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e dal sistema BRICS, variamente alternativi ai blocchi politico-militari occidentali. Del resto, la strategia globale dell’UE del 2016, richiamata nella bozza, non senza enfasi ideologica, «specifica che una politica di allargamento credibile rappresenta un investimento strategico per la sicurezza e la prosperità dell’Europa e ha già contribuito notevolmente alla pace in aree un tempo dilaniate dalla guerra». La bozza di risoluzione, se, da una parte, ribadisce che «l’allargamento è lo strumento di politica estera dell’Unione Europea più efficace ed una delle politiche di maggior successo della UE e rimane un investimento strategico per la stabilità e la prosperità nel continente europeo», dall’altra non può fare a meno di osservare che «è necessario un nuovo slancio per rilanciare il processo di allargamento». L’allargamento è, cioè, da tempo, in crisi, e le recenti domande di adesione da parte di Ucraina, Georgia e Moldova hanno squadernato paradossalmente la contraddizione con i Paesi della regione dei Balcani occidentali, già da tempo nella lista dei candidati all’adesione all’Unione e la cui prospettiva europea pare, al contrario, allontanarsi sempre di più.

Democrazie che la pensano allo stesso modo

La bozza di risoluzione propone di inscrivere la strategia per l’allargamento all’interno di quattro coordinate: il contesto geopolitico, il processo di adesione, le condizionalità all’adesione e la «trasformazione democratica e socio-economica». Quanto al contesto geopolitico, il documento apre alla prospettiva di «necessarie riforme istituzionali» per rafforzare la strategia dell’allargamento e conferma questo pilastro come essenziale ai fini della credibilità stessa dell’UE. Tuttavia, si accoglie la prospettiva di una crescente militarizzazione, proponendo di rafforzare «l’integrazione nei settori delle politiche estere, di sicurezza e di difesa comuni», e di un ulteriore compattamento, richiamando l’esigenza di sviluppare l’allargamento attraverso «l’adesione di democrazie che la pensano allo stesso modo, condividendo valori e interessi comuni». Aspetto, quest’ultimo, ribadito anche nella impostazione del processo di adesione, laddove, ad esempio, si specifica che occorre «accelerare l’integrazione dei Paesi che dimostrano un orientamento strategico ed un impegno stabile per le riforme relative all’UE, il consolidamento democratico e l’allineamento della politica estera». Si tratta di un elemento discutibile, che spinge il documento a vere e proprie forzature, quando, ad esempio, chiede di «privilegiare l’allineamento alla politica estera e di sicurezza comune dell’UE da parte dei Paesi candidati e proseguire i negoziati di adesione con la Serbia solo se il Paese si allinea alle sanzioni della UE contro la Russia»; o quando, contraddicendo la premessa per la quale «ogni Paese coinvolto nel processo dell’allargamento dovrebbe essere giudicato in base ai propri meriti», arriva a chiedere di «concedere immediatamente all’Ucraina lo status di candidato e continuare a fornire supporto ... a Moldova e Georgia al fine di consentire loro di raggiungere questo importante traguardo il prima possibile».

Politiche di allargamento e Balcani occidentali

Per quello che riguarda, in particolare, i Balcani occidentali, il documento chiede di aprire «colloqui di adesione ... con l’Albania e la Macedonia del Nord, concedendo senza indugio la liberalizzazione dei visti al Kosovo»; di «assistere la Bosnia-Erzegovina nell’affrontare quattordici priorità chiave, come pre-requisito per ottenere lo status di candidato»; di «incoraggiare l’accelerazione del processo di adesione del Montenegro»; e di «intensificare l’impegno costruttivo della UE con le autorità sia della Serbia sia del Kosovo per raggiungere un accordo globale di normalizzazione giuridicamente vincolante tra i due nel quadro del dialogo Belgrado-Pristina», avanzando, al contempo, la proposta di avviare «partenariati speciali per i Paesi che non intendono aderire alla UE o non soddisfano i criteri di adesione». Si conferma, in particolare, la prospettiva di un impegno ad un «accordo di normalizzazione giuridicamente vincolante» tra la Serbia e l’autogoverno kosovaro.

Un uso politico dei diritti umani?

Un altro elemento di novità del documento è rappresentato dallo spostamento del baricentro delle cosiddette “condizionalità” all’adesione dalla sfera economica (libero mercato e criteri economici) alla sfera politica (democrazia liberale e diritti umani), segnalando, in particolare, l’esigenza, ai fini dell’adesione, di mettere «la trasformazione democratica e lo stato di diritto al centro del processo di adesione alla UE, dando priorità alla indipendenza della magistratura, alla lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, al buon governo, ai diritti umani, alle libertà fondamentali e alla libertà dei media», perfino, come pure indica la bozza, «istituendo un meccanismo di monitoraggio, dialogo e allerta per correggere gravi carenze dello stato di diritto, innescando condizionalità negative, sotto forma di sospensione dei negoziati di adesione e dei fondi di pre-adesione e consentendo la possibilità di riaprire i capitoli negoziali con clausole di reversibilità». Il documento pare cioè confermare la tendenza ad un approccio politico e selettivo nei confronti del tema dei diritti umani, ai quali non ci si riferisce per garantirne l’integrità, con gli strumenti giuridici internazionali del sistema delle Nazioni Unite, in termini di universalità e indivisibilità di “tutti i diritti umani per tutti e per tutte”, bensì per farne metro di valutazione politica, a giudizio esclusivo della UE, ai fini dell’adesione dei Paesi candidati.

L’orizzonte di un’Unione Europea sempre più “atlantica”

Approccio che pare trovare conferma alla luce della quarta coordinata, la cosiddetta “trasformazione democratica e socio-economica”, dove, tra l’altro, si chiede non solo di «rafforzare la cultura del pluralismo politico e del dialogo politico costruttivo», ma addirittura di «promuovere riforme elettorali, ... democrazia all’interno dei partiti, trasparenza del finanziamento dei partiti». Senza dimenticare la “coerenza” con le politiche del mainstream europeo della transizione verde e digitale, con il compito di «promuovere efficienza energetica, connettività e transizione verso le energie rinnovabili, aumentando la diversificazione e la sicurezza dell’approvvigionamento energetico», sempre, evidentemente, con un occhio rivolto alla guerra in Ucraina e alla controversa politica delle sanzioni. In definitiva, la bozza è un ulteriore salto di qualità nella ridefinizione del posizionamento strategico della UE “in asse” con analoghe indicazioni di provenienza USA e NATO; non solo un’Unione Europea sempre più “atlantica” e sempre meno “mediterranea”, ma anche sempre più convintamente a difesa dell’ordine unipolare, contro la prospettiva, ben più promettente, di uno spazio di relazioni internazionali policentrico, multipolare, orientato alla pace positiva e alla cooperazione internazionale.