lunedì 28 febbraio 2022

La posizione della Serbia nel conflitto NATO-Russia in Ucraina

Torbjorn Toby Jorgensen - The Assembly Hall, Palais des Nations - CC BY-SA 2.0:  https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=82526033



Nel momento in cui, per la prima volta dall’inizio della guerra, si apre una possibilità di dialogo per un negoziato tra la Russia e l’Ucraina, può essere utile leggere la posizione della Serbia, resa pubblica lo scorso 25 febbraio.


Tra le prese di posizione ufficiali, nel momento in cui cresce l’apprensione dell’opinione pubblica internazionale per gli sviluppi della guerra e i destini della pace sul suolo ucraino e nel continente europeo, meritevole di attenzione è quella della Serbia, paese-crocevia per eccellenza, militarmente neutrale, legato alla Russia da una solida tradizione di amicizia e di cooperazione, ma, da tempo, impegnato in direzione dell’adesione all’UE.

Lo scorso 25 febbraio, il presidente della repubblica, Aleksandar Vučić, ormai giunto pressoché alla fine del suo mandato presidenziale, in vista delle elezioni presidenziali e parlamentari, in programma per il prossimo 3 aprile, si è rivolto ai cittadini e alle cittadine, con un discorso dalla sede del Palazzo di Serbia. Parte centrale del discorso è consistita nell’illustrazione delle conclusioni cui è giunto il Consiglio di Sicurezza nazionale serbo. Il documento, che enuclea la posizione serba ufficiale nella crisi ucraina, si articola a sua volta in 15 punti.

La Serbia esprime sincero rammarico per gli eventi nell’Est dell’Europa perché sia ​​la Russia sia l’Ucraina sono paesi amici. Si ribadisce che la perdita di vite umane in Ucraina è una autentica tragedia.

La Serbia rispetta l’integrità territoriale e l’indipendenza politica degli Stati come principio fondamentale; ed è a sua volta impegnata a preservare la propria integrità territoriale, così come l’integrità degli altri paesi.

«Non vi è nulla da obiettare alla Serbia, quanto alla sua coerenza nel rispetto del diritto internazionale».

La Serbia fornisce pieno sostegno all’integrità territoriale dell’Ucraina e ritiene un grave errore la violazione dell’integrità territoriale di qualsiasi Stato, compresa l’Ucraina.

La Serbia è impegnata a preservare la pace nella regione, il che è di fondamentale importanza per lo sviluppo economico del paese. Principio fondamentale del diritto internazionale contemporaneo, si ribadisce, è quello della risoluzione pacifica delle controversie. Preservare la pace è interesse vitale del popolo serbo.

La Serbia sarà guidata esclusivamente dai propri interessi nel prendere in considerazione l’eventualità di sanzioni contro qualsiasi Stato, inclusa la Russia, e ritiene non sia nel proprio interesse imporre sanzioni ad alcuno Stato.

Partendo dal principio della neutralità militare della Serbia, è necessario che tutte le attività militari e di polizia con partner stranieri siano interrotte e non siano svolte nuove attività di tal genere fino a nuova comunicazione.

La Serbia adotterà inoltre tutte le misure necessarie per proteggere i suoi cittadini in Ucraina. Gli organi statali faranno tutto il possibile per impedire che i cittadini serbi si uniscano al conflitto in Europa orientale.

La Serbia fornirà aiuto umanitario al popolo dell’Ucraina.

Le autorità competenti adotteranno tutte le misure per fornire ai cittadini e alle attività economiche energia, gas, petrolio, generi alimentari e generi di prima necessità.

La Serbia, infine, informerà il proprio personale diplomatico delle conclusioni raggiunte.

Nei passaggi successivi del discorso, non sono mancate ulteriori puntualizzazioni, su alcune questioni particolari, relative alla posizione assunta. In particolare, «la Serbia rispetta il diritto internazionale come il modo migliore per proteggere sé stessa e i propri interessi... La Serbia ha i suoi interessi vitali e i suoi amici storici, ricordiamo il 2015 e il 1999», senza mancare di sottolineare, in chiave storica e politica, che la Serbia ha partecipato a numerose guerre, e che la pace è più che mai necessaria.

«Proteggiamo le persone, i cittadini e le loro vite. Volgiamo lo sguardo al futuro e al progresso futuro».

Quanto all’argomento in agenda delle cancellerie occidentali, vale a dire le sanzioni nei confronti della Russia per l’operazione militare in Ucraina, ancora nelle parole di Vučić, «come pensate si possano imporre sanzioni alla Russia dall’oggi al domani - a coloro che non ci hanno imposto sanzioni e che ci hanno tenuti nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ritenete si possa avere il diritto di dimenticare queste cose negli affari di stato? La Russia è attualmente il principale garante della Risoluzione 1244 (1999) del Consiglio di Sicurezza» e, al contempo, «non sarebbe giusto se non fossimo corretti nei confronti dell’Ucraina, che non ci ha mai fatto del male e che ha sempre sostenuto l'integrità della Serbia».

Nessuna “diplomazia con l’elmetto”, dunque, come ribadito in un altro passaggio: «La Serbia è sulla propria strada europea, ma non si precipiterà nel conflitto perché qualcuno ce lo chiede». Per tornare, in chiusura, sulle finalità generali della diplomazia serba: cooperazione con tutti, rapporti positivi, prosecuzione del cammino europeo, mantenendo buoni rapporti con gli amici storici, ... comprendendo appieno quanto sia importante la pace. 

lunedì 14 febbraio 2022

Mai più la guerra nel cuore dell’Europa

ZomBear, Marktaff, derived from:
East Ukraine Conflict.png, CC BY-SA 4.0
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Mai più la guerra nel cuore dell’Europa; e, senza dubbio, si dovrebbe ribadire, mai più la guerra ovunque nel mondo. Nelle ore in cui più intensi si moltiplicano gli scambi diplomatici per ridurre l’escalation e prevenire la minaccia della guerra in Ucraina, nel momento in cui si diffondono iniziative piccole e grandi delle diverse organizzazioni e dei vari comitati contro la guerra e per la pace, andrebbe posto con forza, in cima all’agenda, un presupposto essenziale: sgomberare il campo dall’opzione militare e liberare l’Europa e il mondo dai venti di guerra; lasciare spazio agli sforzi costruttivi per comporre positivamente le divergenze e per la diplomazia.

Dunque, la politica in primo luogo, e la prospettiva della «pace positiva» (la pace come insieme di diritto e giustizia internazionale, cooperazione e giustizia sociale, «tutti i diritti umani per tutti e per tutte»), come orizzonte verso il quale muoversi e come cornice all’interno della quale posizionare i diversi aspetti della controversia e i vari approcci che si vanno articolando. A chi potrebbe giovare, del resto, una nuova, potenzialmente catastrofica, guerra nel cuore dell’Europa? È dello scorso 24 gennaio la notizia che conferma l’intenzione degli Stati Uniti di allertare 8.500 soldati allo scopo di rafforzare i presidi militari della NATO e come iniziativa di deterrenza di eventuali misure o iniziative sul campo da parte della Federazione Russa.

D’altro canto, è ancora più recente la notizia dell’invio di ben 3.000 soldati statunitensi in Europa e di una ridislocazione di ulteriori unità militari in Germania e in Polonia. Lo stesso Dipartimento di Stato USA ha previsto che la Federazione Russa possa arrivare ad ammassare fino ad un massimo di 30.000 militari a nord dell’Ucraina, mentre altre notizie confermano che la Russia ha posto in stato di allerta i 10.000 soldati schierati a Rostov sul Don (meno di 200 km da Donetsk e meno di 500 km dalla Crimea), disposto attività all’interno dei confini della Federazione e messo in movimento le linee di approvvigionamento logistico. Al di là dunque delle dichiarazioni bellicose e delle forzature del giornalismo embedded, sono gli Stati Uniti, al momento, a tenere alto il livello della tensione, muovendo truppe in altri Paesi e ventilando l’opzione militare, come alcune dichiarazioni di provenienza USA e britannica sembrano purtroppo confermare.

Al di là delle dichiarazioni e delle ricostruzioni giornalistiche, tuttavia, si affacciano anche analisi e indicazioni che segnalano come la soluzione possa essere trovata per via politica e diplomatica. Dalla diplomazia russa, è stata avanzata la proposta della Federazione per una de-escalation della tensione con la richiesta che siano ritirati i contingenti della NATO da Bulgaria, Romania e altri Paesi in Europa centro-orientale, un tempo parte del Patto di Varsavia, ed entrati, dopo la fine dell’esperienza storica del socialismo reale, nella NATO dopo il 1997; e che la NATO stessa rinunci ad un’ulteriore allargamento ad Est, in prossimità dei confini russi, e quindi rinunci ad incorporare, essenzialmente, Ucraina, Moldavia e Georgia. 
 
Ciò sarebbe peraltro in parziale continuità con l’intesa non scritta con cui, nel 1990, alla vigilia dell’unificazione tedesca, la segreteria di Stato si impegnava a «non spostare la giurisdizione della NATO verso Est». Un impegno, per quanto non scritto, ampiamente disatteso degli USA e dalla NATO, come mostra chiaramente, in chiave anti-russa e anti-cinese, qualunque mappa che indichi la presenza e la dislocazione delle basi militari USA e NATO tutto intorno ai confini della Russia e della stessa Cina. È abbastanza chiaro, d’altra parte, che la sfida che si sta svolgendo, in queste ore, ha per terreno strategico l’Europa: dal punto di vista russo, per i propri interessi economici e per un riequilibrio dei rapporti di forza meno sfavorevole per Mosca; dal punto di vista statunitense, per rilanciare la propria egemonia militare e strategica e per contrastare l’ascesa di qualsivoglia possibile avversario.

Rilanciare la politica significa dunque, anzitutto, sgomberare il campo dall’opzione militare; e, di conseguenza, impegnarsi per una soluzione sostenibile di mutuo beneficio che tenga in considerazione gli interessi legittimi, contrastando ambizioni egemoniche e prospettando soluzioni in linea con la Carta delle Nazioni Unite, in primo luogo «mantenere la pace e la sicurezza internazionale ... e conseguire con mezzi pacifici, in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie». Per quello che riguarda l’Ucraina, rilanciare e implementare gli Accordi di Minsk dell’estate 2014 che, tra l’altro, prevedono il cessate-il-fuoco, il monitoraggio OSCE e un’ampia autonomia per le regioni di Donetsk e Lugansk.

In questo senso, la presenza di basi militari straniere utilizzabili in proiezione offensiva, oltre a rappresentare una limitazione all’autodeterminazione, costituisce una potenziale minaccia alla sicurezza e alla pace, e questo interroga necessariamente la questione del ritiro delle basi USA e NATO (in Italia circa quaranta basi e oltre cento tra strutture e installazioni); mentre l’articolazione di un nuovo sistema di sicurezza, basato sul mantenimento della pace, un insieme concordato di garanzie di sicurezza ed un meccanismo di prevenzione delle crisi e di soluzione delle controversie, potrebbe risultare promettente, per sottrarre l’Europa al ruolo di terreno di confronto tra potenze e per immaginare una nuova cornice di rapporti multilaterali, contro ogni minaccia e ogni pretesa di dominio o di egemonia unipolare. 
 
Lasciare spazio alla politica e dare nuove possibilità alla pace significa anche dotarsi della capacità e degli strumenti per potere, concretamente, «agire per la pace»: prevenzione delle guerre - contrasto alla proliferazione delle armi e riduzione delle spese per armamenti, efficace messa al bando di tutti gli ordigni di distruzione di massa - costruzione della pace.