sabato 5 aprile 2025

La bandiera jugoslava, memoria collettiva della liberazione europea.

Jugoslavia – Bandiera

Dichiarazione della Rete Internazionale Antifascista riguardo ai simboli della Liberazione a Gorizia

L’Istituto Rete Internazionale Antifascista (RIA), costituito nel dicembre 2024 da esponenti sloveni, croati e italiani, rappresenta un’associazione volontaria, autonoma e senza fini di lucro che riunisce persone fisiche e giuridiche impegnate nella salvaguardia della verità storica, nella preservazione della memoria della lotta antifascista e nella valorizzazione degli ideali della guerra di liberazione nazionale. La nostra fondazione risponde all’esigenza di mobilitare sia la comunità accademica che l’opinione pubblica per la tutela dei valori e dell’eredità dell’antifascismo nel contesto contemporaneo, contrastando la preoccupante proliferazione di manifestazioni d’odio, intolleranza e tentativi di revisione della realtà storica.

La RIA esprime profonda preoccupazione in merito alla recente controversia sulle bandiere jugoslave esposte presso uno storico edificio di Corso Verdi a Gorizia. Desideriamo pertanto illustrare i dati storici relativi a tali simboli e sottolineare l’importanza di preservare una memoria storica autentica e fedele. Le bandiere jugoslave, presenti come elemento costitutivo di un’installazione artistica in prossimità dell’80° Anniversario della Liberazione di Gorizia, rappresentano un simbolo legittimo in memoria dei combattenti del IX Korpus che liberarono la città dall’occupazione nazifascista. Tali vessilli non costituiscono meramente un emblema politico, bensì attestano una presenza storicamente documentata a Gorizia durante la liberazione del maggio 1945, configurandosi come parte integrante del patrimonio antifascista europeo.

Risulta inquietante osservare il revisionismo storico selettivo che si manifesta attraverso un duplice metro di giudizio nell’interpretazione dei simboli storici. Mentre si sollevano polemiche sulla presenza delle bandiere jugoslave, simbolo della liberazione, si accettano acriticamente i simboli di formazioni quali la Decima MAS – unità collaborazionista la cui cooperazione con la Germania nazista è ampiamente comprovata. La documentazione storica attesta in modo inconfutabile come tali unità abbiano partecipato attivamente all’annessione del territorio del Litorale al Terzo Reich nel settembre 1943 ed all’esecuzione di rastrellamenti che condussero, tra le altre conseguenze, alla deportazione della maggioranza della comunità ebraica goriziana nei campi di concentramento nazisti. 

I dati statistici testimoniano la tragica portata di tali eventi: dei 201 membri della comunità ebraica residenti a Gorizia prima dell’attuazione delle leggi razziali, soltanto 12 sopravvissero alla fine del conflitto. I fatti storici relativi alla liberazione di Gorizia emergono con chiarezza dalle fonti primarie. Alla lotta di liberazione nazionale presero parte sia gli antifascisti sloveni che quelli italiani. Nel IX Korpus della XXXI Divisione operarono attivamente brigate italiane, tra cui la 156ª Brigata “Bruno Buozzi”, la 157ª Brigata “Guido Picelli” e la 158ª Brigata “Antonio Gramsci”. Questa collaborazione internazionale nella lotta antifascista costituisce il fondamento dell’identità europea contemporanea e dei valori che la sostanziano.

La bandiera jugoslava con la stella rossa rappresenta un simbolo riconosciuto a livello internazionale della resistenza antifascista ed è parte integrante della memoria collettiva della liberazione europea. Essa si pone sullo stesso piano di tutti gli altri vessilli delle forze alleate che sconfissero il nazismo e il fascismo. Sotto tale bandiera combatterono non soltanto i popoli jugoslavi, ma anche numerosi antifascisti italiani, che vi riconobbero un emblema di resistenza contro il totalitarismo. Il periodo postbellico europeo si è edificato su un’inequivocabile matrice antifascista. I documenti fondativi dell’integrazione europea esprimono con assoluta chiarezza l’impegno a scongiurare la reiterazione degli orrori storici perpetrati dal fascismo. L’antifascismo non costituisce una mera opzione politica, bensì il consenso fondamentale delle società democratiche da cui è scaturita l’identità europea contemporanea.

Nell’analizzare il recente episodio di Gorizia e il contenuto della lettera aperta del collettivo Agorè, che illustra il contesto storico del ritrovamento e dell’esposizione delle bandiere jugoslave, sollecitiamo un’interpretazione degli eventi storici fondata su basi scientifiche. L’esposizione delle bandiere, rinvenute nell’ex edificio del Municipio di Gorizia e parte documentata del patrimonio storico goriziano, costituisce una legittima forma di preservazione della memoria collettiva. L’autentica convivenza tra i popoli, che dovrebbe incarnarsi nella Capitale Europea della Cultura GO!2025, può radicarsi esclusivamente in un confronto onesto con la storia, rifuggendo da ogni relativizzazione o, peggio ancora, esaltazione dei regimi totalitari e dei loro collaboratori. In questo contesto, risulta profondamente contraddittoria la decisione della giunta comunale di Gorizia che, nel novembre 2024, ha confermato la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini conferita cento anni prima – un atto in aperta antitesi con i principi antifascisti su cui si fondano sia l’Europa che la Repubblica Italiana, nonché con i valori di inclusione e dialogo interculturale proclamati da GO!2025.

In un’epoca in cui l’Europa affronta la recrudescenza di movimenti neofascisti, l’adesione alla verità storica e ai valori antifascisti assume un’importanza ancora più cruciale. “Mai più guerra” e “Mai più fascismo” non rappresentano semplici slogan, ma un impegno concreto verso le generazioni future affinché le tragedie della storia non abbiano mai a ripetersi.

Per la Rete Internazionale Antifascista
Jadranka Šturm Kocjan

Fonte: https://www.informatrieste.eu/ts/blog/polemica-sulle-bandiere-jugoslave-esposte-nello-storico-edificio-di-corso-verdi-a-gorizia

giovedì 16 gennaio 2025

Accordo di cessate il fuoco a Gaza.


Secondo la bozza resa nota dalla stampa, l'accordo di cessate il fuoco tra Israele e le forze della resistenza palestinese a Gaza prevede che i combattimenti cessino a Gaza per 42 giorni; decine di ostaggi israeliani e centinaia di prigionieri palestinesi siano liberati; le truppe israeliane si ritirino ai confini di Gaza e i palestinesi possano tornare nelle loro case, o per meglio dire, in ciò che resta delle loro case, in un contesto letteralmente sventrato dall’inumana devastazione provocata dall’aggressione israeliana, man mano che arriveranno gli aiuti umanitari.

Durante la prima fase, Hamas rilascerà 33 ostaggi in cambio della liberazione di centinaia di palestinesi imprigionati da Israele. Entro la fine della prima fase, le donne, i bambini e gli anziani trattenuti dalle forze palestinesi dovranno essere liberati. Circa 100 ostaggi rimangono prigionieri a Gaza, tra civili e soldati, e l'esercito ritiene che almeno un terzo di loro sia deceduto. Nel primo giorno del cessate il fuoco, le forze palestinesi rilasceranno tre ostaggi, il settimo giorno altri quattro, poi daranno corso a rilasci settimanali.

Israele libererà 30 donne, bambini o anziani palestinesi per ogni civile liberato. Per ogni soldatessa liberata, Israele rilascerà 50 prigionieri palestinesi, di cui 30 condannati all'ergastolo. In cambio dei corpi consegnati da Hamas, Israele libererà le donne e i bambini che ha trattenuto dall'inizio della guerra, il 7 ottobre 2023. L'accordo prevede che i palestinesi sfollati tornino alle loro case, anche a Gaza e nel nord di Gaza. Con la maggior parte della popolazione di Gaza costretta in enormi campi profughi, i palestinesi desiderano tornare alle loro case, e sanno che la gran parte è stata distrutta dall’aggressione militare portata avanti da Israele.

Ancora durante la prima fase, le truppe israeliane dovranno ritirarsi in una zona cuscinetto larga circa un chilometro (0.6 miglia) all'interno di Gaza lungo i confini con Israele. L'accordo specifica che Israele deve lasciare il Corridoio Netzarim, creato forzosamente, durante la guerra, per separare il nord dal resto di Gaza, creando una cintura attraverso la Striscia dove le truppe hanno sgomberato la popolazione e allestito basi. Dunque, il Corridoio Netzarim dovrà essere lasciato. 
 
Le truppe israeliane si ritireranno poi dalla principale strada costiera nord-sud, Rasheed Street, aprendo una via per il ritorno dei palestinesi. Entro il 22° giorno del cessate il fuoco, le truppe israeliane dovranno lasciare l'intero corridoio. Durante la prima fase, Israele manterrà il controllo del Corridoio Filadelfia, la striscia di territorio lungo il confine di Gaza con l'Egitto, incluso il valico di Rafah, ma nel corso della seconda fase, Israele dovrà ritirarsi anche dal Corridoio Filadelfia.

Anche le linee generali della seconda fase sono delineate nella bozza: tutti gli ostaggi rimanenti saranno rilasciati in cambio del completo ritiro israeliano da Gaza e dell’avvio di una "calma sostenibile". Si aprirà dunque il negoziato inerente alla successiva amministrazione palestinese di Gaza mentre, successivamente, la terza fase potrebbe essere meno controversa: i corpi degli ostaggi rimasti dovranno essere restituiti in cambio di un piano di ricostruzione della durata di 3-5 anni da attuare a Gaza sotto supervisione internazionale.

Considerando gli obiettivi dichiarati della aggressione israeliana, vale a dire lo sradicamento delle forze della resistenza, l'occupazione militare di Gaza e la consegna incondizionata dei prigionieri israeliani, appare chiaro, alla luce della bozza di accordo, se confermato, che nessuno di questi è stato ottenuto. Viceversa, sempre considerando i termini dell'accordo, se confermati, il cessate il fuoco, lo scambio di prigionieri, il ritiro delle forze israeliane e il ritorno dei profughi nel nord di Gaza, appare chiaro che quella che si profila è una vittoria delle forze della resistenza, pur in mezzo a inenarrabili dolori, distruzioni e morti, e una disfatta militare, e, soprattutto politica e morale, di Israele. 
 
E’ del 10 gennaio scorso la notizia che Cuba, appellandosi all'art. 63 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, ha depositato una dichiarazione di intervento nel caso riguardante l'applicazione della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio a Gaza, unendosi quindi alla causa intentata dal Sudafrica contro Israele per crimine di genocidio. Spagna, Slovenia, Irlanda, Messico, Nicaragua, Colombia, Cile, Cuba, Venezuela e Stato di Palestina, tra gli altri, supportano il caso.

Secondo il report (1 Ottobre 2024) del relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi occupati dal 1967, in relazione al conclamato genocidio condotto da Israele contro la popolazione palestinese di Gaza, «la violenza che Israele ha scatenato contro i palestinesi dopo il 7 ottobre non sta avvenendo nel vuoto, ma fa parte di uno spostamento forzato e di una sostituzione forzata dei palestinesi, a lungo termine, intenzionale, sistematica e organizzata dallo Stato. Questa traiettoria rischia di causare un pregiudizio irreparabile all'esistenza stessa del popolo palestinese in Palestina. Gli Stati membri devono intervenire immediatamente per impedire atrocità che segneranno ulteriormente la storia umana». 
 
Come segnalato nel par. 70 del report, infatti, «dopo il 7 ottobre, Israele ha inquadrato le sue operazioni militari a Gaza come una guerra di autodifesa e antiterrorismo contro un gruppo terroristico. Tuttavia, è ampiamente dimostrato che Israele non può legittimamente invocare l'autodifesa contro la popolazione sotto la sua occupazione. La potenza occupante deve proteggere, non prendere di mira, la popolazione occupata. Nel contesto dell'inadempienza da parte di Israele della direttiva della Corte internazionale di giustizia di porre fine all'occupazione illegale, l'obiettivo di sradicare la resistenza contraddice il diritto all'autodeterminazione e il diritto di resistere a un regime oppressivo, entrambi protetti dal diritto internazionale consuetudinario. Inoltre, descrive l'intera popolazione come impegnata nella resistenza e quindi eliminabile. Continuando a sopprimere il diritto all'autodeterminazione, Israele sta replicando casi storici in cui l'autodifesa, la controinsurrezione o l'antiterrorismo sono stati utilizzati per giustificare la distruzione di un gruppo umano, portando al genocidio».