lunedì 6 novembre 2023

Combattere fascismo, nazismo, neonazismo

MichaelBueker, Antifascist graffiti on a building in Sarajevo, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=9432612


Lo scorso 3 novembre 2023 la Terza Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha esaminato, tra le altre, la bozza di risoluzione intitolata “Combattere la glorificazione del nazismo, del neonazismo e altre pratiche che contribuiscono ad alimentare le forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e l’intolleranza a essi legata” (doc. A/C.3/78/L.7).

Introducendo la bozza di risoluzione, il rappresentante della Federazione Russa ha ricordato che le Nazioni Unite sono state create, dopo la vittoria nella Seconda guerra mondiale, proprio all’indomani della vittoria sul nazismo, per garantire che i tragici eventi della storia non avessero a ripetersi mai più. L’Assemblea Generale aveva già adottato un analogo testo nel 2005; tuttavia, come ricordato dal rappresentante della Federazione Russa, negli ultimi venti anni, le questioni che quella risoluzione aveva sollevato non solo non sono state adeguatamente affrontate ma sono addirittura peggiorate.

Non si riducono, nel mondo, fenomeni ed episodi che indicano un incremento dell’islamofobia, della cristianofobia e dell’antisemitismo; alcuni Paesi hanno iniziato a distruggere memoriali e monumenti commemorativi istituiti per ricordare e celebrare coloro che hanno combattuto il nazismo; in diverse città europee non mancano casi di iniziative, manifestazioni e marce neonaziste. In questo contesto, come dichiarato, «l’approvazione del documento non è solo un nostro dovere nei confronti di coloro che hanno creato le Nazioni Unite, ma è un nostro dovere nei confronti delle generazioni future».

Risulta assai significativa, in negativo, la dichiarazione di voto resa, a nome dell’Unione Europea, dal rappresentante della Spagna, il quale ha affermato che la lotta contro le moderne forme di “ideologie estremiste” costituisce la ferma priorità dell’UE. In essa riecheggia la posizione istituzionale dell’Unione Europea stessa, che, dietro la retorica propagandistica del contrasto alle opposte “ideologie estremiste”, ha finito per approvare un documento ufficiale, in sede di Parlamento Europeo, che incredibilmente equipara comunismo e nazismo, esprimendo, come è scritto in quella risoluzione, «posizione unanime contro ogni potere totalitario, a prescindere da qualunque ideologia».

Il rappresentante intervenuto a nome della UE ha poi proseguito sostenendo che «con il pretesto della lotta al nazismo, la Federazione Russa ha riportato gli orrori della guerra nel continente europeo». Una tesi fin troppo abusata e sconfessata, almeno da chi ben ricorda chi, dopo la fine della “guerra fredda” ha effettivamente riportato la guerra nel cuore dell’Europa, nel contesto del ciclo di guerre nei Balcani, gli Stati Uniti e la NATO con l’aggressione alla Jugoslavia e i massicci bombardamenti su Belgrado (1999). Un caso eclatante, come ebbe a ricordare Danilo Zolo, di «militarismo umanitario, che merita [...] di essere criticato sul piano teorico e contrastato sul terreno politico».

Tornando alla bozza di risoluzione, due commenti interessanti sono stati rilasciati dai rappresentanti di Indonesia e Israele.

Il rappresentante di Israele ha affermato che il capitolo più oscuro della storia del popolo ebraico – la Shoah – deve servire come prova di quanto gli esseri umani possano degradare quando seguono tali - il riferimento è al nazismo e al neonazismo - perverse ideologie, lanciando un allarme sull’attuale aumento dell’antisemitismo in tutto il mondo, con cifre che hanno raggiunto un incremento del 500%.

Il rappresentante dell’Indonesia (il Paese a maggioranza islamica più popoloso al mondo e, al tempo stesso, un Paese profondamente multietnico con oltre 400 gruppi etnici e oltre 700 lingue e dialetti parlati) ha riconosciuto l’allarmante escalation di incidenti alimentati dall’odio, dall’islamofobia e dalla cristianofobia; ha sottolineato l’urgenza di una presa di posizione collettiva contro il flagello del razzismo e dell’estremismo; ha quindi stigmatizzato la politica del “doppio standard”: «è impossibile ignorare l’evidente disparità nel modo in cui affrontiamo i casi di aggressione e di violazione dei diritti umani nel mondo», in riferimento alla guerra scatenata il 7 ottobre dal governo di Israele contro la popolazione palestinese, azioni che «portano il marchio dell’apartheid». Dunque, il “doppio standard” per cui «l’aggressione viene condannata selettivamente in base a chi la scatena anziché al fatto che si tratta di aggressione» mina la credibilità degli sforzi per promuovere la pace e i diritti.

Molto importante poi l’intervento da parte del rappresentante di Cuba che ha sottolineato che gli atti di violenza contro le minoranze etniche e religiose, come manifestazione di nazismo e neonazismo, sono in aumento anche in Paesi come gli Stati Uniti, così come vanno condannati l’apartheid e il genocidio in corso ad opera di Israele contro la popolazione palestinese.

Il testo della risoluzione, infatti, condanna tutte le manifestazioni e le espressioni di glorificazione e di promozione del nazismo, tra cui anche espressioni quali graffiti e disegni, talvolta perfino sui monumenti dedicati alle vittime della Seconda guerra mondiale; esprime allarme per l’uso di internet e dei social media da parte di gruppi estremisti per reclutare nuovi membri e per diffondere messaggi di odio e discriminazione, riconoscendo altresì che la rete può e deve essere usata anche per contrastare gruppi e attività naziste e neonaziste; condanna inoltre qualsiasi negazione della Shoah, nonché qualsiasi manifestazione di violenza contro persone sulla base dell’etnia o della religione.

La bozza di risoluzione (A/C.3/78/L.7) “Combattere la glorificazione del nazismo, del neonazismo e altre pratiche che contribuiscono ad alimentare le forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e l’intolleranza a essi legata” ricorda «gli orrori della Seconda guerra mondiale e sottolinea a questo proposito che la vittoria sul nazismo nella Seconda guerra mondiale ha contribuito a porre le condizioni per la creazione delle Nazioni Unite», e che «il neonazismo non è solo la glorificazione di un movimento del passato, ma un fenomeno contemporaneo legato a un solido interesse nella promozione della disuguaglianza razziale e connesso ad un forte investimento volto a ottenere un ampio sostegno per le sue false affermazioni di superiorità razziale».

Esprime inoltre allarme per «la diffusione in molte parti del mondo di partiti politici estremisti, movimenti, ideologie e gruppi di carattere razzista o xenofobo, compresi i neonazisti e i gruppi skinhead, e per il fatto che tale tendenza ha portato all’attuazione di misure e politiche discriminatorie a livello locale o nazionale»; e sottolinea che «anche quando i neonazisti o gli estremisti non partecipano formalmente al governo, la presenza all’interno dei governi di ideologi di estrema destra può avere l’effetto di introdurre nell’attività di governo e nel discorso politico le stesse ideologie che rendono il nazismo, il neonazismo e l’estremismo così pericolosi».

Tra le proposte, la risoluzione «incoraggia gli Stati a sviluppare e realizzare piani d’azione nazionali per l’eliminazione del razzismo, della discriminazione razziale, della xenofobia e dell’intolleranza ad essi correlata, con l’obiettivo, tra l'altro, di monitorare il fenomeno del nazismo, del neonazismo e della negazione della Shoah, così come le celebrazioni commemorative del regime nazista, dei suoi alleati e delle organizzazioni ad esso affiliate o correlate»; inoltre «incoraggia gli Stati ad adottare misure adeguate, anche in ambito legislativo ed educativo, in conformità con gli obblighi internazionali in materia di diritti umani, al fine di prevenire il revisionismo rispetto alla Seconda guerra mondiale e la negazione dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra commessi durante la Seconda guerra mondiale; invita inoltre gli Stati ad adottare misure per garantire che i sistemi educativi sviluppino i contenuti necessari per fornire una accurata rappresentazione dei fatti storici, oltre a promuovere la tolleranza e altri principi internazionali in materia di diritti umani».

La Terza Commissione ha dunque adottato la bozza di risoluzione con 112 favorevoli, 50 contrari e 14 astensioni. I 50 Paesi contrari a “Combattere la glorificazione del nazismo, del neonazismo e altre pratiche che contribuiscono ad alimentare le forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e l’intolleranza a essi legata” sono i Paesi della c.d. comunità occidentale, l’asse euro-atlantico e i suoi (non numerosi) alleati: Stati Uniti, Canada, Ucraina, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, Spagna, Islanda, Irlanda, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Austria, Albania, Belgio, Bulgaria, Danimarca, Grecia, Cipro, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Finlandia, Croazia, Repubblica Ceca, Svezia, Andorra, Bosnia-Erzegovina, Ungheria, Georgia, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Kiribati, Liberia, Liechtenstein, Lussemburgo, Malta, Norvegia, San Marino, Macedonia del Nord, Monaco, Montenegro, Moldavia, Isole Marshall, Micronesia.


Riferimenti:

Il testo della risoluzione “Combattere la glorificazione del nazismo, del neonazismo e di altre pratiche che contribuiscono ad alimentare le forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e relativa intolleranza” (A/C.3/78/L.7).

Il testo della risoluzione del Parlamento europeo sulla “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa” (P9_TA(2019)0021).

Il saggio di Danilo Zolo su “L'intervento umanitario armato fra etica e diritto internazionale”. 
 

lunedì 30 ottobre 2023

Le città tra povertà e sviluppo, guerra e pace

Palestinian News & Information Agency (Wafa) in contract with APAimages,
Damage in Gaza Strip, October 2023, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Common


È una delle ricorrenze internazionali forse meno note, ma nondimeno di grande importanza: un’importanza tanto più indubbia e significativa quanto più le città stesse subiscono le distruzioni e gli eccidi legati alle aggressioni e alle guerre. Il 31 ottobre ricorre infatti la Giornata mondiale delle città, istituita dalle Nazioni Unite come occasione per riflettere sul ruolo e l’importanza delle città nella vicenda umana e sociale più complessiva e per interrogarsi sulle questioni e le problematiche connesse con l’urbanizzazione, quale uno dei grandi fenomeni del nostro tempo. Come segnala, infatti, la presentazione della Giornata sul sito delle Nazioni Unite, lo scopo è di «promuovere l’interesse della comunità internazionale per l’urbanizzazione come fenomeno globale, spingendo la cooperazione tra i Paesi a rispondere alle sfide dell’urbanizzazione stessa.

«L’urbanizzazione offre il potenziale per nuove forme di inclusione sociale, tra cui una maggiore uguaglianza, l’accesso ai servizi e a nuove opportunità, nonché un impegno e una mobilitazione che riflettono la diversità delle città, dei Paesi e del mondo. Tuttavia, troppo spesso lo sviluppo urbano non si configura in questo modo: la disuguaglianza e l’esclusione si moltiplicano a scapito di uno sviluppo sostenibile che offra risposte a tutti e a tutte». In questa ambivalenza ruota, infatti, il “paradosso delle città”: da un lato, moltiplicatori di opportunità (le città rappresentano una potente interconnessione paesaggistica e relazionale, in termini di correlazione tra attività sociali, culturali e produttive; di connessione con le varie direttrici della mobilità umana, al proprio interno e quali nodi di relazione e connessione con il mondo; di moltiplicazione di opportunità di relazione, di incontro e di conoscenza, anche a partire dalla densità delle risorse sociali e culturali che ospitano, dagli spazi di aggregazione ai luoghi della cultura); dall’altro lato, tuttavia, incubatori di solitudine, marginalità, esclusione.

Il fenomeno della povertà urbana, non a caso, è uno dei più accentuati e, senza dubbio, una delle “cifre” del panorama urbano contemporaneo. In essa si intersecano la dimensione generale della povertà, in termini di impossibilità di provvedere al proprio sostentamento e quindi di garantire il soddisfacimento dei bisogni, e quella dimensione più specifica, legata allo spazio della città, in termini di impossibilità di garantire una vita dignitosa nello spazio produttivo e relazionale proprio della città: vecchie e nuove forme di povertà; quartieri ghetto e quartieri dormitorio; ampliamento del divario tra centro e periferia e moltiplicazione delle “periferie” nei centri stessi del tessuto urbano; precarietà ed esclusione; marginalizzazione dei migranti e ghettizzazione delle popolazioni Rom sono solo alcuni tra i fenomeni più acuti, cui si legano le nuove questioni e contraddizioni legate al diritto alla città, alla qualità degli spazi e delle forme dell’abitare, alle sperequazioni determinate, soprattutto nelle città d’arte, dalla turistificazione, dalla gentrificazione e dal “consumo” stesso della città, e ancora le problematiche legate alle nuove modalità di controllo e di militarizzazione dello spazio urbano.

Istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con l’adozione della Risoluzione 68/239 (27 dicembre 2013), della quale ricorre quest’anno il decennale, la giornata mette al centro, anzitutto, le sfide e le grandi questioni aperte nello spazio delle città, tra le quali, come indicate nella risoluzione, «il rapido processo di urbanizzazione in gran parte del mondo in via di sviluppo, il continuo aumento del numero di abitanti delle baraccopoli in tutto il mondo, l’impatto negativo del degrado ambientale, tra cui il cambiamento climatico, la desertificazione e la perdita di biodiversità, e la crescente vulnerabilità degli insediamenti urbani alle calamità naturali e a quelle di origine antropica», esortando a «orientare lo sviluppo sostenibile delle città in rapida crescita urbana, al fine di prevenire la proliferazione delle baraccopoli, migliorare l’accesso ai servizi urbani, sostenere l’edilizia abitativa inclusiva, aumentare le opportunità di lavoro e creare un ambiente di vita sano e sicuro, [riconoscendo] l’importanza di un accesso equo e adeguato ai servizi urbani di base come fondamento per l’urbanizzazione sostenibile e quindi per lo sviluppo sociale ed economico complessivo».

Le città sono sempre più, al tempo stesso, obiettivo di guerra e costruttori di pace. È nota l’importanza della «city diplomacy», la diplomazia delle città. Come ricorda l’Agenda dell’Aja sulla diplomazia della città, adottata in occasione del Primo Congresso Mondiale sulla Diplomazia della Città (L’Aja, 2008), la diplomazia della città è lo strumento proprio delle città, degli enti locali e delle loro associazioni ai fini della prevenzione dei conflitti, della risoluzione dei conflitti e della ricostruzione post-conflitto, con l’obiettivo di creare un contesto stabile, in cui i cittadini e le cittadine possano convivere in condizioni di pace, democrazia e prosperità. D’altra parte, le città sono sempre più obiettivo di guerra e l’Agenda stessa, adottata nel 2008, ricorda che «nell’ultimo decennio oltre 15 milioni di persone hanno perso la vita e 40 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare la propria casa a causa di tali conflitti». Come ebbe a ricordare il compianto Pierluigi (Gigi) Ontanetti, a proposito della città di Sarajevo, un vero e proprio «urbicidio». Proprio in queste ore è in corso l’aggressione, da parte del governo di Israele, ai danni della città di Gaza, con l’obiettivo, annunciato dalle autorità israeliane, di «conquistare Gaza» e di «fare pagare a Gaza il prezzo più pesante». Ancora, la lotta contro la guerra, contro le gravi violazioni, e per la pace, resta un imperativo, più che mai necessario e urgente*. 
 
Una versione di quest'articolo è stata pubblicata anche dall'Agenzia di Stampa Pressenza in questo collegamento.

domenica 24 settembre 2023

Una (non del tutto inutile) mappatura dei movimenti per la pace

Thomas Taylor Hammond (1920-1993)
University of Virginia CREEES - CC BY-SA 4.0
commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=64898097

Le mobilitazioni di questo autunno sono attraversate dalla ritrovata centralità del tema cruciale della guerra e della pace e segnate dalla ripresa di iniziativa, tra diverse realtà politiche e sociali, nel senso della «lotta contro la guerra e per la pace». Al contempo, la moltiplicazione di occasioni e di luoghi di iniziative sul tema può rendere difficile orientarsi nella galassia di sigle e di date sul calendario. Un rapida mappatura di ciò che si muove può dare un’idea, certamente sintetica e sommaria, delle realtà attive e delle proposte in azione.

Rete Italiana Pace e Disarmo, la rete di convergenza più ampia e rappresentativa del movimento pacifista, ha aderito alla manifestazione nazionale di Roma del 7 ottobre 2023 sul tema “La Via Maestra: insieme per la Costituzione”, con un documento (si può leggere qui) nel quale ricorda che «la guerra iniziata con l’aggressione russa miete vittime in Ucraina e nel mondo», esplicita la parola d’ordine del cessate il fuoco immediato, ribadisce che «le guerre e le armi ... non portano alla pace», ma non si esprime sulla questione delicata delle sanzioni (unilaterali e illegittime) contro la Russia.

I Disarmisti Esigenti, nati in risposta alla chiamata dell'appello di Stéphane Hessel ed Albert Jacquard ad «esigere un disarmo nucleare totale», hanno, tra le altre cose, promosso i “digiuni di coerenza pacifista”, con una piattaforma (si può leggere qui) in quattro punti: «non rifornire di armi e di aiuti militari l’esercito di Kiev, pur solidarizzando con il popolo martoriato dall’aggressione russa ...; avviare subito trattative di tregua e poi di pace con l’intervento dell’ONU ...; riduzione delle spese militari e rifiuto di ospitare vecchie e nuove bombe atomiche ...; revoca delle sanzioni energetiche contro la Russia».

La Rete contro la Guerra e il Militarismo ha promosso iniziative e manifestazioni a partire da una piattaforma (si può leggere qui) sulla base di quattro punti: rompere la pace sociale, organizzarci e lottare per la difesa dei nostri interessi di classe, contrapposti a quelli del capitale; opporci all’invio di armi all’Ucraina, all’aumento delle spese militari e ad ogni intervento militare italiano all’estero; opporci all’utilizzo di basi militari sui nostri territori per colpire la Russia; lo stop immediato alle sanzioni».

Analogamente, aree no-war, a partire dal Coordinamento per la pace - Milano, hanno promosso campagne e iniziative, recentemente a Milano una Tre Giorni per la Pace (22-23-24 settembre 2023) chiamando a raccolta «tutti coloro i quali ritengono che la pace non possa essere raggiunta tramite il continuo invio di armi, si oppongono alla linea di cobelligeranza del nostro governo, ... e chiedono di fermare la guerra promuovendo le trattative sotto l’egida dell’ONU».

In questo stesso frangente, almeno altre due iniziative di respiro nazionale sono state organizzate.

Quella avente a tema “Il Coraggio della Pace” (qui la piattaforma) nata da un appello promosso da cento firmatari iniziali «contro la militarizzazione dell’Europa, l’invio delle armi, per una soluzione diplomatica di pace al conflitto», anche in questo caso senza riferimenti espliciti alla questione delle sanzioni contro la Russia (Firenze, 23-24 settembre 2023); nonché quella, che pure ha avuto vasta eco sui social media, promossa da Michele Santoro e Raniero La Valle (qui la piattaforma), che pone l’accento sulla pace che «è politica, imperfetta e sempre a rischio; è assenza di violenza delle armi e di pratiche di guerra, vuol dire non rapporti antagonistici né sfide militari o sanzioni genocide tra gli Stati, implica prossimità e soccorso nelle situazioni di massimo rischio a tutti i popoli».

L’iniziativa di Michele Santoro e Raniero La Valle guarda anche a una ricaduta più propriamente politico-organizzativa. Come è scritto nella piattaforma, infatti, «la prima occasione in cui tutto ciò sarà messo alla prova saranno le elezioni europee. Risuona per l’Europa la domanda gridata da papa Francesco: “Dove vai Europa?”. Dove stai navigando, senza la bussola della pace? Il primo punto di un programma elettorale è per noi il rifiuto della creazione di un esercito europeo, erroneamente considerata, nell’attuale deriva politica, il naturale coronamento dell’unità europea».

D’altra parte, la stessa iniziativa “Il Coraggio della Pace” del 23-24 settembre scorsi ha lanciato la proposta di «dare vita ad una associazione, che sia il più plurale possibile, e che abbia la pace e il disarmo come punti cruciali per cui lottare».

Occasioni di sviluppo del dibattito e dell’iniziativa sono state predisposte poi dalle organizzazioni politiche: tra queste, il PAP Camp 2023 di Potere al Popolo dello scorso agosto, senza tuttavia alcun momento specifico, tra i workshop, dedicato alla guerra; e la Festa nazionale di Rifondazione Comunista (21-24 settembre) dove al tema della guerra sono stati dedicati diversi appuntamenti, la presentazione del libro “Enrico Berlinguer. La pace al primo posto”, il dibattito su “Media, Guerra e potere politico” (con Pablo Iglesias e Bifo), nonché il “monologo”, ancora di Michele Santoro, “Per un mondo senza guerra”.

A queste si aggiunge l’importante appuntamento del 21 ottobre per una mobilitazione generale a Pisa e in Sicilia contro la guerra, la militarizzazione, le occupazioni militari dei territori e le forme di militarizzazione e disciplinamento negli ambienti formativi (qui la piattaforma).

Né va dimenticato lo sciopero generale del sindacalismo di base indetto da ADL Cobas, CUB, SGB e SI Cobas il 20 ottobre, con la parola d’ordine, tra le altre, del «No alla guerra, No alle spese militari, No alla produzione e all’invio di armi» (qui la piattaforma).

Dunque, non si può fare a meno di notare due tendenze: da un lato, una moltiplicazione di iniziative e una ripresa di attenzione e di partecipazione sul tema, decisivo, della lotta contro la guerra e per la pace; dall’altro, l’estrema frammentazione e la perdurante divisione tra le realtà organizzate impegnate contro la guerra e per la pace. Al netto, chiaramente, delle differenze di lettura e di impostazione che pure permangono tra le forze del movimento.
 

mercoledì 30 agosto 2023

I BRICS, attraverso la documentazione ufficiale, guardando al 2024.


Palácio do Planalto, Sessão plenária ampliada, BRICS, 23.08.2023, CC BY-ND 2.0:
https://flickr.com/photos/palaciodoplanalto


Il recente vertice dei Paesi BRICS in Sudafrica, da buona parte degli osservatori giustamente definito «storico», ha segnato una tappa di sviluppo particolarmente significativa nell’evoluzione delle relazioni all’interno della piattaforma e, in generale, nella prospettiva della cooperazione sud-sud e degli equilibri internazionali. Una chiara indicazione di tali conseguimenti è contenuta nella comunicazione diramata dalla presidenza sudafricana del vertice con la quale, lo scorso 24 agosto, sono stati annunciati i più importanti risultati conseguiti: si è deciso «di incaricare i Ministri delle Finanze... di prendere in esame la questione delle valute locali, degli strumenti e delle piattaforme di pagamento»; si è raggiunto un accordo «sui principi-guida, gli standard, i criteri e le procedure del processo di espansione dei BRICS» vale a dire della trasformazione progressiva dei BRICS in un vero e proprio BRICS+ con l’ingresso di nuovi Paesi. Si è deciso poi, a conclusione del vertice, di «invitare la Repubblica Argentina, la Repubblica Araba d’Egitto, la Repubblica Federale Democratica dell’Etiopia, la Repubblica Islamica dell’Iran, il Regno dell’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti a diventare membri a pieno titolo dei BRICS dal 1° gennaio 2024» e di «sviluppare ulteriormente il modello di partenariato dei BRICS e un elenco di ulteriori Paesi potenziali partner», in modo da ampliare il numero di Paesi che entreranno a fare parte di questo sistema.

La portata, sia in termini economici e politici, sia in termini strategici generali, di tali sviluppi, è notevolissima: questo insieme di Paesi, oggi Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, dal 2024 allargato ad Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, verrà a costituire una piattaforma di alleanza e di cooperazione di amplissima portata internazionale, diversa e, potenzialmente, alternativa, al sistema di alleanze politico-militari guidato dagli Stati Uniti e dai partner occidentali, e si doterà di strumenti politici ed economici innovativi, come indica l’obiettivo della verifica degli strumenti e delle piattaforme di pagamento, vale a dire della possibilità di rafforzare i rapporti commerciali e finanziari all’interno dell’area BRICS nelle valute nazionali, escludendo il dollaro e immaginando anche, in prospettiva, una nuova valuta di riferimento, quella che sulla stampa è stata definita «de-dollarizzazione». Il disegno di una diversa architettura delle relazioni internazionali, basata sul multilateralismo e la prospettiva del mondo multipolare, alternativo all’unipolarismo e all’egemonismo del sistema di alleanze politico-militari guidato dagli Stati Uniti, è emerso in più momenti del vertice. 
 
Come ha indicato il presidente del Sudafrica, Cyril Ramaphosa, «esiste uno slancio globale verso l’utilizzo delle valute locali, verso accordi finanziari e sistemi di pagamento alternativi. Come BRICS, siamo pronti ad esplorare opportunità per migliorare la stabilità, l’affidabilità e l’equità dell’architettura finanziaria globale». Il presidente brasiliano Lula ha messo in evidenza la portata strategica del vertice, segnalando che «invece di aderire alla logica della concorrenza, che impone le alleanze e alimenta la sfiducia, dobbiamo rafforzare la cooperazione... Il mondo è più complesso della mentalità da guerra fredda che alcuni vogliono restaurare e, d’altra parte, un mondo con benessere per tutti è possibile solo con un ordine internazionale più inclusivo e solidale». Il presidente russo Vladimir Putin, facendo eco ai principi dei BRICS, ha ricordato che questi «non sono in competizione con nessuno e non si oppongono a nessuno». Lo stesso presidente cinese, Xi Jinping, ha auspicato che «più Paesi si uniscano ai BRICS per condividere gli sforzi con l’obiettivo di rendere la governance globale più giusta ed equa».

Come definito nella piattaforma, i BRICS rappresentano un partenariato composto da cinque Paesi e mercati-guida emergenti, basato su storici legami di amicizia, solidarietà e interessi comuni. Insieme, Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica rappresentano più del 42% della popolazione mondiale, il 30% della superficie mondiale, il 23% del PIL globale e il 18% del commercio globale. I tre pilastri della cooperazione organizzata nel contesto di questo partenariato sono i seguenti: 1) la cooperazione politica e di sicurezza («i BRICS sono un partenariato di Paesi influenti che sostengono il multilateralismo inclusivo. Un’ONU riformata è al centro di una visione condivisa tra i BRICS per un’architettura politica, economica e finanziaria globale ristrutturata che rifletta il mondo attuale e sia più equa, bilanciata e rappresentativa»); 2) la cooperazione economica e finanziaria («la forza economica d’insieme dei BRICS può fungere da catalizzatore per una ripresa economica globale sostenibile e per rispondere alle sfide legate all’insicurezza alimentare ed energetica» e «la Nuova Banca per lo Sviluppo, fondata nel 2015, svolge un ruolo catalizzatore nel fornire sostegno finanziario ai mercati emergenti e ai Paesi in via di sviluppo per colmare il divario infrastrutturale e per lo sviluppo sostenibile»); infine, 3) la cooperazione culturale e «people-to-people», che potremmo tradurre come “reciproca e paritaria”, nel senso di promuovere accordi e intese nei settori della cultura, dell’istruzione, dello sport, delle scienze e della tecnologia.

Se questo è, dunque, il profilo dei BRICS, una piattaforma di partenariato composta da Stati diversi in termini di caratteristiche politico-istituzionali e configurazioni economico-sociali, basata sul rispetto dei rispettivi approcci nazionali allo sviluppo e sulla prospettiva del «multilateralismo inclusivo», l’orientamento di tali Paesi nei confronti delle grandi questioni internazionali del nostro tempo è stato delineato nella Dichiarazione finale del vertice (la Seconda Dichiarazione di Johannesburg, 23 agosto 2023). Sulla questione generale dei diritti umani, la dichiarazione (§6) sottolinea «l’esigenza di tutti i Paesi di cooperare ai fini della promozione e della protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, sulla base dei principi dell’eguaglianza e del rispetto reciproco», nonché l’impegno a «continuare a trattare tutti i diritti umani, compreso il diritto allo sviluppo, in maniera rispettosa e paritaria, con il medesimo approccio e la medesima enfasi, [nonché] a rafforzare la cooperazione sulle questioni di interesse comune, sia nell’ambito dei BRICS, sia nei vari consessi multilaterali, compresa l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e il Consiglio dei Diritti Umani, tenendo in considerazione la necessità di promuovere, proteggere e concretizzare i diritti umani in maniera non selettiva, non politicizzata, costruttiva e senza doppi standard». 
 
Si tratta di una lettura e di un approccio alternativi alla visione dei diritti umani prevalente in Occidente e largamente diffusa presso le cancellerie occidentali: l’importanza e l’eguale enfasi su «tutti i diritti umani», dunque non solo i diritti civili e politici, ma anche i diritti economico-sociali e culturali, oltre che, chiaramente, i diritti dei popoli e degli ecosistemi; non solo le (decisive) libertà civili e politiche ma anche le (fondamentali) questioni dell’avanzamento dello sviluppo e dello sradicamento della povertà; i presupposti della eguaglianza sovrana tra gli Stati e della non-ingerenza nelle questioni interne dei singoli Paesi, peraltro principi di base del diritto internazionale, del quale fin troppo spesso l’imperialismo occidentale, dal 1990 in avanti, ha fatto strame, con vere e proprie campagne di guerra e di aggressione, di cui sarebbe persino ridondante ripetere l’elenco; e, non meno importante, il rifiuto della logica del “doppio standard”, della politicizzazione e della strumentalizzazione della questione dei diritti umani per ragioni interne o come motivazione impropria di iniziative militari, di ingerenze, quando non di vere e proprie aggressioni.

A proposito della guerra, un passaggio significativo della dichiarazione è riservato alla guerra per procura che oppone attualmente gli Stati Uniti e la NATO, da un lato, e la Russia, dall’altro, in Ucraina, nel quale si ribadisce (§19) il sostegno alle «proposte di mediazione e di buoni uffici tese alla risoluzione pacifica del conflitto attraverso il dialogo e la diplomazia, tra le quali la missione di pace africana e il percorso verso la pace proposto dai Capi di Stato africani», la cosiddetta «Proposta africana di pace», che si basa su dieci punti tra i quali una rapida de-escalazione del conflitto; l’avvio di negoziati tra le parti; il rilascio dei prigionieri di guerra e il ritorno dei bambini alle loro case in condizioni di sicurezza; un ampio supporto umanitario; la ricostruzione; e, base di tutto, il rispetto dei principi fondamentali sanciti nella Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale, insieme con il bisogno urgente di riconoscere le legittime aspettative di sicurezza di tutti i Paesi coinvolti.

Si tratta di un approccio basato sui principi del diritto e dell’equilibrio nelle relazioni internazionali: non il generico «ordine internazionale basato sulle regole», proposto dagli Stati Uniti e i loro partner, in cui la Carta delle Nazioni Unite è di fatto bypassata, ma un sistema di relazioni basato sulla uguaglianza sovrana tra gli Stati, il diritto di autodeterminazione nei rispettivi percorsi nazionali di sviluppo, il principio di non-ingerenza. Quanto ad un altro versante di conflitto, vale a dire la questione del nucleare iraniano, anche in questo caso la dichiarazione propone un percorso alternativo rispetto a quello sostanzialmente aggressivo avanzato da una parte delle cancellerie occidentali (§21), ribadendo «l’esigenza di risolvere la questione del nucleare iraniano attraverso strumenti pacifici e diplomatici in linea con il diritto internazionale, [nonché] l’importanza di preservare la JCPOA e la Risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza ai fini della non-proliferazione».

La prospettiva multilaterale, prima ancora dell’orientamento verso il mondo multipolare, è la chiave di volta della risoluzione dei conflitti, a partire dall’eguaglianza tra le nazioni, sulla base di un approccio politico e diplomatico. Tale presupposto informa di sé anche un altro passaggio di grande importanza della dichiarazione, inerente alla proposta di riforma del sistema delle Nazioni Unite. In base al §7 del documento, infatti, si fa esplicito riferimento ad una «riforma complessiva delle Nazioni Unite, compreso il suo Consiglio di Sicurezza, tesa a renderlo più democratico, rappresentativo, efficace ed efficiente, e a incrementare la rappresentanza dei Paesi in via di sviluppo tra i membri del Consiglio di Sicurezza, affinché possa adeguatamente dare risposta alle sfide globali emergenti e sostenere le legittime aspirazioni dei Paesi emergenti e in via di sviluppo dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, tra i quali il Brasile, l’India e il Sudafrica, a svolgere un ruolo maggiore nelle questioni internazionali, in particolare nel sistema delle Nazioni Unite, ivi compreso il suo Consiglio di Sicurezza».

Un altro, fondamentale, contenuto della dichiarazione riguarda le grandi questioni dello sviluppo e della tutela dell’ecosistema. Da un lato si tratta, come segnala il §53, della «importanza di implementare gli Obiettivo dello Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, in maniera integrata e olistica, tra l’altro attraverso lo sradicamento della povertà e il contrasto al cambiamento climatico, promuovendo, al tempo stesso, un impiego sostenibile della terra e una gestione sostenibile dell’acqua, nonché la conservazione della biodiversità». Dall’altro, come indica il §54, si sottolinea «l’importanza della cooperazione internazionale ai fini della protezione della biodiversità e delle questioni inerenti alla gestione sostenibile delle risorse naturali», dando enfasi, anche in questo caso, ai contesti multilaterali e alle convenzioni internazionali dedicate, tra cui la Convenzione sulla Biodiversità, l’implementazione del Quadro Globale per la Biodiversità di Kunming-Montreal (Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework), la Convenzione delle Nazioni Unite per il contrasto alla desertificazione. Anche sotto questo versante, dunque, un’alternativa, basata sugli strumenti della politica e il rilancio dei contesti multilaterali nelle relazioni tra gli Stati, all’unilateralismo e all’egemonismo tipici dell’imperialismo occidentale.

 
Riferimenti:

BRICS Chair President Cyril Ramaphosa’s Media Briefing Remarks Announcing the Outcomes of the XV BRICS Summit, 24 Agosto 2023:
https://brics2023.gov.za/2023/08/24/brics-chair-president-cyril-ramaphosas-media-briefing-remarks-announcing-the-outcomes-of-the-xv-brics-summit

Lula: “Un mondo con benessere per tutti è possibile solo con un ordine internazionale più inclusivo e solidale”, l'AntiDiplomatico, 24 Agosto 2023:
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-lula_un_mondo_con_benessere_per_tutti__possibile_solo_con_un_ordine_internazionale_pi_inclusivo_e_solidale/5694_50588

“China's Xi calls for accelerated BRICS expansion”, Reuters, 23 Agosto 2023:
https://www.reuters.com/world/chinas-xi-calls-accelerated-brics-expansion-2023-08-23

BRICS South Africa Chair 2023, Evolution of BRICS:
https://brics2023.gov.za/evolution-of-brics

BRICS South Africa Chair 2023, Three Pillars of Cooperation:
https://brics2023.gov.za/three-pillars-of-cooperation

BRICS, «Seconda Dichiarazione di Johannesburg» (Johannesburg II Declaration. BRICS and Africa: Partnership for Mutually Accelerated Growth, Sustainable Development and Inclusive Multilateralism, Sandton, Gauteng, South Africa), 24 Agosto 2023:
https://mid.ru/en/foreign_policy/news/1901504

South African Government, «African leaders seek a negotiated peace in Russia-Ukraine conflict», 19 Giugno 2023:
https://www.gov.za/blog/african-leaders-seek-negotiated-peace-russia-ukraine-conflict