mercoledì 30 settembre 2020

Nobel per la Pace: dopo Obama e l’UE, pure Trump?

 
Gage Skidmore CC BY-SA 2.0 creativecommons.org

 
In occasione del 21 Settembre, Giornata Mondiale delle Nazioni Unite per la Pace

Non vi era dubbio che, dopo la solenne cerimonia e il grande clamore che ha accompagnato la firma dei protocolli di intesa tra Serbia e Kosovo alla Casa Bianca, i Balcani avrebbero riguadagnato la scena e la questione del Kosovo sarebbe finita nel gorgo della campagna elettorale per le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Il presidente, Donald Trump, non ha perso l’occasione, nel corso di una manifestazione elettorale nella Carolina del Nord (qui ciò che ha dichiarato a Fayetteville), di considerarsi pronto a ricevere il Premio Nobel per la Pace, grazie alla sua opera di mediazione che, a suo dire, avrebbe posto la parola “fine” a decenni di uccisioni di massa tra Serbia e Kosovo.

In base alla sua dichiarazione, uno spettacolare esempio di “sofisticazione del reale”, un mix riuscito di manipolazione della storia e di alterazione dei fatti, dove dato di fatto, realtà e menzogna vengono sapientemente miscelati e confusi, fino a dare vita ad una perfetta “confezione propagandistica”, «la prossima parte della storia sono sicuro sarà il Premio Nobel per la Pace. Stiamo fermando le uccisioni di massa tra il Kosovo e la Serbia. Si sono uccisi tra di loro per così tanti anni. Adesso, smetteranno di uccidersi. Ho detto loro – ragazzi, cerchiamo di stare insieme (andiamo avanti insieme, let’s get together). Sai, lo stanno facendo ormai da centinaia e centinaia di anni».

Uno dei problemi sta nel fatto che una parte di verità della storia consiste proprio nella sua candidatura a Premio Nobel per la Pace: la candidatura di Donald Trump al premio è stata effettivamente proposta nelle scorse settimane da un parlamentare norvegese per i suoi sforzi nell’intermediazione e nella realizzazione di un accordo storico tra Israele ed Emirati Arabi Uniti; contestualmente, un simile accordo è stato mediato e successivamente firmato anche tra Israele e il Bahrein. Settembre è stato, d’altro canto, anche il mese che ha visto la celebrazione dei colloqui e delle firme dei protocolli tra il presidente serbo Aleksandar Vučić e il primo ministro kosovaro Avdullah Hoti.

È stato il deputato della destra norvegese Christian Tybring-Gjedde ad avanzare la proposta di riconoscimento del Nobel per la Pace al presidente statunitense, secondo la dichiarazione raccolta da Fox News: «Ritengo abbia fatto di più nel cercare di realizzare la pace tra le nazioni rispetto alla gran parte degli altri candidati al Nobel per la Pace. Come ci si aspettava, altri Paesi medio-orientali seguiranno nel percorso tracciato dagli Emirati Arabi. Questo accordo potrebbe rappresentare un punto di svolta che trasformerà il Medio Oriente in un’area di cooperazione e di prosperità».

Può sorprendere, ma non più di tanto. Ad un più attento esercizio di memoria storica e di riflessione politica, non sfuggirà che il Premio Nobel per la Pace ha già dovuto scontare alcune attribuzioni quanto meno bizzarre, se non del tutto discutibili, come quella recente, del 2009, all’ex presidente statunitense, Barack Obama, «per il suo», come recitava quella motivazione, «straordinario sforzo per rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli. [...] Obama come presidente ha creato un nuovo clima nella politica internazionale. La diplomazia multilaterale ha riacquistato una posizione centrale, con enfasi sul ruolo che le Nazioni Unite e le altre istituzioni internazionali possono svolgere. [...] La visione di un mondo libero dalle armi nucleari ha fortemente stimolato i negoziati sul disarmo e sul controllo degli armamenti. Grazie all’iniziativa di Obama, gli Stati Uniti stanno ora giocando un ruolo più costruttivo [sic] nell’affrontare le grandi sfide climatiche che il mondo sta affrontando».

Oppure, non meno controverso, il premio riconosciuto più recentemente, nel 2012, all’Unione Europea, «per avere contribuito», ancora in base alle motivazioni ufficiali, «per oltre sei decenni al progresso della pace e della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani in Europa. Negli anni tra le due guerre, il Comitato Norvegese ha assegnato diversi premi a persone che cercavano la riconciliazione tra Germania e Francia. Dal 1945, quella riconciliazione è diventata realtà. Le terribili sofferenze della Seconda Guerra Mondiale hanno dimostrato la necessità di una nuova Europa.

«In un periodo di settant’anni, la Germania e la Francia hanno combattuto tre guerre. Oggi la guerra tra Germania e Francia è impensabile. Ciò mostra come, attraverso sforzi mirati e rafforzando la fiducia reciproca, i nemici storici possono diventare partner. [...] Il Comitato Norvegese desidera concentrarsi su ciò che considera il risultato più importante dell’UE: il successo della lotta per la pace e la riconciliazione, per la democrazia e i diritti umani. Il ruolo svolto dall’UE ha contribuito a trasformare la maggior parte dell'Europa da continente di guerra a continente di pace». Si può lasciare al lettore la verifica, guardandosi intorno, soprattutto lungo i margini e le sponde di questa UE, di un’affermazione che vorrebbe «la maggior parte dell’Europa da continente di guerra a continente di pace».

Quanto invece, tornando al punto, ai cosiddetti accordi tra Serbia e Kosovo, si è già avuto modo di segnalare che Serbia e Kosovo non hanno firmato alla Casa Bianca un documento comune, ma hanno apposto le rispettive firme su due documenti distinti, con il medesimo contenuto tranne che sul punto relativo al riconoscimento di Israele e al trasferimento dell’Ambasciata Serba a Gerusalemme, documenti con stesso titolo («Normalizzazione Economica») e medesimo approccio, la promozione della cooperazione economica bilaterale ai fini della “normalizzazione”.

Subito dopo la cerimonia, è tornata a farsi sentire l’Unione Europa, con un nuovo incontro tra Aleksandar Vučić e Avdullah Hoti mediato da Bruxelles e una dichiarazione, che non è sfuggita alle cancellerie, da parte del portavoce UE, Peter Stano, che, lo scorso 17 Settembre, ha ricordato che il Kosovo è obbligato ad attuare l’accordo sull’Unione dei Comuni Serbi, cui si è impegnato «in buona fede» nel 2013, firmando l’Accordo di Bruxelles. «Quell’accordo è stato firmato da tutti i partecipanti al processo ed è valido». «Inoltre, è stato ratificato dal parlamento del Kosovo. Il Kosovo si è quindi assunto l’obbligo internazionale di attuare l’accordo». Un accordo impegnativo e, proprio per questo, difficile, per il quale varrebbe forse, più che per altri, scomodare l’aggettivo, fin troppo abusato, “storico”.
 

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