Foto di Eddie Gerald - Geophotos - Pubblico Dominio, via Wikimedia Commons |
L’ultima, in ordine di tempo, legge fondamentale dello Stato di Israele, approvata lo scorso 18 luglio, peraltro con una risicata maggioranza alla Knesset, il Parlamento israeliano, definisce, per la prima volta in questi termini, Israele come «Stato Nazionale del Popolo Ebraico», con una nettezza tale, nella forma e nei contenuti, da fare di questa designazione persino il titolo della legge. Iniziando dunque a mettere in fila le questioni, si tratta di una legge fondamentale dello Stato di Israele: com’è noto, infatti, Israele non ha una unica legge costituzionale o «carta costituzionale», bensì il suo corpus costituzionale, vale a dire il quadro normativo fondamentale, gerarchicamente superiore alle leggi ordinarie, è rappresentato dall’insieme della Dichiarazione di Indipendenza del 1948 e da una serie di leggi fondamentali, le quali possono essere modificate solo attraverso l’approvazione di altre leggi fondamentali ed in base alla medesima procedura.
Come leggi fondamentali, esse vengono a definire i caratteri di base della statualità israeliana e dovrebbero avere contenuto generale e godere di ampio consenso: non così quest’ultima legge, la quale, come si diceva, dopo lungo e articolato dibattito, nel Parlamento e nel Paese, è stata approvata con una maggioranza risicata e non ha mancato di destare molte critiche, spesso aspre, fuori e dentro Israele. Critiche, come si accennava sopra, «nella forma» e «nella sostanza». Questa legge rischia, infatti, di aprire un dibattito costituzionale senza fine e, soprattutto, un vulnus costituzionale senza precedenti: ponendosi a fianco della Dichiarazione di Indipendenza, che sancisce l’uguaglianza dei diritti dei cittadini e delle cittadine di Israele senza distinzione di sesso, etnia, religione, quest’ultima legge restringe la portata di tali diritti, definisce Israele stato nazionale del popolo ebraico e dichiara esplicitamente che appartiene esclusivamente al popolo ebraico il diritto di autodeterminazione nazionale di cui lo Stato di Israele è, per l’appunto, espressione. Dunque, si passa da un principio di “universalità dei diritti” ad un principio di “esclusività dei diritti” (per lo meno di alcuni di questi, per quanto amplissimi e fondamentali, a partire, appunto, dal diritto di autodeterminazione dei popoli); si passa da uno stato di tutti i suoi cittadini e le sue cittadine, almeno in termini di diritto, ad uno stato etnico (mono-etnico), con, in aggiunta, la problematicità di definire, al di fuori di una caratterizzazione meramente culturale o confessionale, la stessa specificità del popolo ebraico. Problematicità testimoniata anche dall’acceso dibattito sul ruolo di Israele all’interno della Diaspora.
Se, per un verso, com’è stato segnalato da alcuni critici, non vi è sostanzialmente «nulla di nuovo» in questa legge, se non la ricapitolazione di una serie di norme già previste (come quella che dichiara Gerusalemme capitale dello Stato di Israele, scritta in una precedente legge fondamentale del 1980), o la messa in fila di una serie di pratiche già vigenti (a partire da quelle che organizzano l’attività coloniale di Israele nei Territori Palestinesi Occupati); per altro, numerose manifestazioni di protesta hanno visto protagonisti non solo i vari critici israeliani della legge (come è noto, vi è uno strato non-sionista o post-sionista non insignificante all’interno della stessa società israeliana), ma anche le differenti componenti nazionali, in primo luogo gli arabi israeliani e i drusi. Se il trattamento riservato alle minoranze e il rispetto dei diritti delle minoranze sono cartine di tornasole (questo ci dice persino il pensiero “liberale”) della qualità della democrazia, il dettato di questa legge fondamentale rischia allora di ridurre e di restringere pesantemente (al di là dei molti e variegati dubbi già da tempo nutriti, a proposito, da più parti) la qualità della democrazia israeliana e di minacciare significativamente il rispetto e la tutela dei diritti umani per tutti e tutte in Israele.
Se è vero, infatti, che la legge non pregiudica la situazione corrente della lingua araba, al momento della entrata in vigore della legge, pur attribuendole un semplice status speciale, riservando all’ebraico lo status di lingua ufficiale dello Stato; è anche vero, d’altra parte, che questa legge eleva perfino a rango costituzionale il colonialismo sionista: sin dall’inizio distingue tra uno stato di Israele e una terra di Israele, rivendicata come patria storica del popolo ebraico e all’interno della quale sorge il territorio dello stato. E, poco più avanti, non manca di mettere in risalto il fatto che lo Stato attribuisce valore nazionale allo sviluppo dell’insediamento ebraico ed agisce per incoraggiare e per promuove la sua realizzazione e il suo consolidamento. La colonizzazione dei Territori Palestinesi dunque viene puntellata, resa carattere fondamentale dello Stato di Israele, e, di conseguenza, in prospettiva, reso sempre più difficile il ricorso alla giustizia da parte delle rappresentanze palestinesi.
Un diritto di autodeterminazione, quello del popolo ebraico, attivato contro un altro diritto di autodeterminazione, quello del popolo palestinese. Il contrario di ciò che servirebbe alla causa della giustizia e dei diritti umani, ovviamente nel senso di tutti i diritti, per tutti.
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