mercoledì 26 gennaio 2022

In occasione della Giornata della Memoria

Monumento alle Vittime di Staro Sajmište (Foto di Gianmarco Pisa)


Tra le infinite questioni – dalla ripetibilità alla banalità del male, dal rapporto tra storia e memoria alle problematiche della testimonianza – che la Giornata della Memoria porta con sé, stagliandosi sullo sfondo mai dimenticabile e mai riducibile della incommensurabilità della tragedia – la Shoah, nell’ambito delle politiche di discriminazione, segregazione e genocidio a base razziale, nel contesto storico a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso – una, in particolare, rischia di restare un po’ ai margini, stretta tra le maglie dello specialismo e dell’indifferenza. Ed è la questione della riproducibilità della memoria, in altre parole, della possibilità e della esigenza di immaginare e concretizzare infrastrutture concettuali e materiali lungo le quali veicolare la memoria collettiva, una narrazione memoriale. Alla prima categoria, quella delle “infrastrutture concettuali”, appartiene l’insieme delle narrazioni, spesso pedagogicamente orientate, che servono a imbastire il discorso della memoria e a organizzare i contenuti memoriali in maniera efficace ai fini dell’educazione delle giovani generazioni e della coscientizzazione, la creazione di coscienza, presso le opinioni pubbliche.

Rientrano in questa categoria le «architetture di parole»: documentari, pellicole, narrazioni e storie orali, testimonianze, ma anche, ad esempio, i programmi e i progetti educativi, le iniziative di formazione e di sensibilizzazione, tutto quanto richiama e allude alla potenza della parola, come capacità di veicolare la testimonianza, diffondere la conoscenza, articolare il discorso storico e la narrazione memoriale. «Ho scritto» ricorda Primo Levi «nel modo che mi pareva più naturale e scegliendo deliberatamente un linguaggio che non fosse troppo sonoro. Mi pareva che i fatti che dovevo raccontare contenessero in sé una forza sufficiente per sopportare uno stile medio. In modo che lo stile della scrittura, il suono delle parole, non sopraffacesse mai il contenuto. Era una scelta dovuta anche alla sperimentazione che avevo fatto raccontando. Avevo visto che era meglio lasciare che le cose raccontassero sé stesse. Mi pareva che fosse del tutto superfluo, anzi negativo, nocivo, fare della retorica. Non c’era bisogno di sottolineare l’orrore. L’orrore c’era. C’era nelle cose che raccontavo. Non occorreva scrivere questo è orribile». Così rifletteva Primo Levi, nell’intervista dal titolo “Primo Levi: Il mestiere di raccontare: Se questo è un uomo”, ep. I, anno 1974, visionale a questo collegamento.

Ma poi vi sono anche, a supporto della memoria e della parola, le infrastrutture “materiali”: beni, luoghi, spazi fisici, all’interno dei quali non solo organizzare i contenuti della memoria ma in particolare consentire l’incontro, la riflessione, e la meditazione. Come ha scritto, qualche anno fa, Veran Matić, «questi luoghi ... devono riflettere il rispetto nei confronti delle vittime e costituire, senza ambiguità, emergenze antifasciste, luoghi di patriottismo e di appartenenza ad una alleanza internazionale positiva in entrambe le guerre mondiali. [...] Questo luogo deve rimanere libero da interessi politici o di altra natura. I Musei della Shoah, da Washington a Berlino, passando per il Centro Simon Wiesenthal a Los Angeles, il Memoriale della Shoah a Parigi, ovviamente lo «Yad Vashem», sono istituzioni memoriali, al tempo stesso museali e pedagogiche, fondamentali, spesso tra i luoghi più visitati nelle città in cui si trovano. La posizione di Staro Sajmište e un Memoriale moderno, ben concepito e ben realizzato, un museo dei campi di sterminio e dei luoghi di esecuzione, un museo del Porajmos, possono costituire una grande acquisizione per Belgrado e per la Serbia nell’affrontare queste pagine nefaste del proprio passato, un luogo di tristezza e rispetto, di memoria e preghiera, di educazione e conoscenza». Così nel reportage “When will Serbia get Staro Sajmište Memorial Center?”, 2018, in questo collegamento.

Sculture memoriali, parchi memoriali, musei memoriali non sono semplicemente sculture e architetture simboliche; sono soprattutto veri e propri “luoghi della memoria”, che, se in generale conservano l’obiettivo di “rendere visibile” la storia e di unire, in uno scenario unitario, entrambe le discipline, la storia e la geografia, in particolare consentono l’esercizio, delicato e prezioso al contempo, di fornire il quadro concreto di un fatto storico, di sollecitare una riflessione personale e collettiva sui grandi eventi e le grandi tragedie della storia, di attivare funzioni pubbliche per consentire di sviluppare coscienza civile e (cercare di) sottrarre alla retorica il doveroso - «mai più». Proprio Staro Sajmište potrebbe diventare uno dei prossimi di tali luoghi memoriali. Si tratta dell’area corrispondente alla Vecchia Fiera di Belgrado nella quale fu allestito un campo di concentramento tra il 1941 e il 1944, nel territorio sotto il controllo dello stato fantoccio ustaša (filo-nazista) denominato “Stato Indipendente di Croazia” (NDH). Si stima che tra le 20 e le 23 mila persone morirono nel lager, e tra 7 e 10 mila ebrei; in pratica, secondo altre stime, circa la metà di tutti gli ebrei di Serbia persero la vita nel campo. Quanto alla sconvolgente violenza del regime ustaša, conviene rimandare ad un classico storiografico, Rory Yeomans, Visions of Annihilation: The Ustasha Regime and the Cultural Politics of Fascism, 1941-1945 (2012).

Adesso, grazie a una legge del febbraio 2020 (154-20), si avvia l’iter per la realizzazione del Centro Memoriale „Staro Sajmište”. All’art. 2, la legge istituisce il Centro Memoriale „Staro Sajmište” come una «istituzione culturale, con sede a Belgrado, allo scopo di fornire organizzazione, personale e strumenti ai fini della realizzazione di attività museali, e connesse attività didattiche e di ricerca, con l’obiettivo di consolidare la memoria delle vittime del campo di concentramento nazista in relazione al campo di transito di Topovske šupe e all’ex Fiera di Belgrado, „Staro Sajmište”». Sono luoghi del “genocidio”, che la legge, all’art, 3, definisce come «uno o più atti commessi intenzionalmente allo scopo di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, tra i quali, a titolo di esempio, omicidio di membri del gruppo, gravi danni e lesioni, fisici o mentali, all’integrità dei membri del gruppo, deliberata imposizione al gruppo di condizioni di vita che possano comportare la sua distruzione totale o parziale, e ancora l’imposizione di misure volte alla prevenzione delle nascite all’interno del gruppo e trasferimento forzato di bambini». Tali sono il genocidio del popolo serbo condotto dal cosiddetto Stato Indipendente di Croazia, dalla Germania nazista e dai suoi alleati e collaborazionisti, dal 1941 al 1945; la Shoah, l’Olocausto del popolo ebraico, finalizzato alla «completa distruzione del popolo ebraico e della cultura ebraica»; il Samudaripen, il genocidio dei popoli Rom, nei territori della Serbia. In base all’art. 5, il Centro Memoriale „Staro Sajmište” è istituito per svolgere attività di raccolta, organizzazione, conservazione, esposizione, manutenzione, analisi, ricerca di documenti e oggetti museali, archivistici e cinematografici, per fini museali e per attività educative, scientifiche ed editoriali, nonché per manifestazioni e iniziative volte a preservare la memoria delle vittime; inoltre, attività legate alla ricostruzione, adattamento e sistemazione degli edifici esistenti nello spazio del centro memoriale, l’eventuale aggiunta di nuovi spazi, la tutela paesaggistica e la manutenzione continuativa dei beni culturali immobili.

All’interno del complesso, saranno istituiti spazi adibiti a museo, archivio e biblioteca, e saranno svolte attività sia nel campo dell’organizzazione museale e archivistica, sia didattiche, educative e di ricerca. Viene istituito anche, in base all’art. 9, un Consiglio Internazionale del Centro, costituito da «esperti di spicco, con molti anni di esperienza e pubblicazioni scientifiche, professionali e artistiche nelle aree di attività del Centro Memoriale „Staro Sajmište”». Quello che viene disegnato con la legge, da tempo attesa, e su cui non era mancata attenzione da parte di studiosi e ricercatori a livello internazionale, è quindi il progetto di un centro memoriale moderno, tale da corrispondere a entrambe le esigenze, la preservazione della memoria e la trasmissione della memoria, per una memoria operante nello spazio pubblico. Nella sua proposta di organizzazione, la legge, ad esempio, prevede che il consiglio di amministrazione del Centro sia composto di sette membri, nominati dal governo, due proposti dall’Unione delle comunità ebraiche della Serbia; uno eletto su proposta del Consiglio Nazionale Rom; due su proposta dell’amministrazione statale agli affari culturali e due tra i funzionari del Centro.

Come ha messo in evidenza il presidente dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), Georges Santer, a proposito dell’approvazione della legge, «la International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) elogia il governo della Serbia e il Parlamento, che ha approvato la legge senza voti contrari, per i loro sforzi volti a preservare la memoria dei membri delle comunità serba, ebraica e rom uccisi a Staro Sajmište. I luoghi della memoria svolgono un ruolo chiave nell’educare le generazioni presenti e future sui fatti e i presupposti storici che hanno portato alla Shoah e allo stesso tempo servono a preservare la memoria delle vittime e dei sopravvissuti. I cittadini della Serbia meritano di avere un luogo autentico in memoria dei crimini della Shoah. Allo stesso tempo, la conservazione dei siti, come Staro Sajmište e Topovske šupe, è un obbligo degli Stati che fanno parte della International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA)».

Anche il Centro Simon Wiesenthal ha accolto con favore l’approvazione della legge per l’istituzione del Centro Memoriale „Staro Sajmište”, nel luogo in cui furono detenuti oltre ventimila prigionieri, principalmente ebrei e serbi assassinati dai nazisti e dagli ustaša. In una sua dichiarazione, il Direttore per gli Affari dell’Europa Orientale, lo storico della Shoah Efraim Zuroff, in precedenza indicato come capo del comitato consultivo internazionale per il progetto, ha elogiato la decisione e ha esortato le autorità ad accelerare ai fini della sua concreta realizzazione: «l’approvazione del disegno di legge segna la fase finale dei lunghi preparativi per trasformare il sito di Staro Sajmište in un centro memoriale, che finalmente onorerà in maniera adeguata la memoria delle vittime. Non si tratterà solo di commemorazione, ma anche di educazione e, si spera, avrà un ruolo importante nell’educare la società sugli orrori perpetrati dai nazisti e dai collaborazionisti ustaša».

Come ricordato in una intervista a Harriet Sherwood per il Guardian (11 aprile 2021), va respinta, per molte ragioni, l’idea di una “linea nella sabbia”, l’idea di condonare i crimini dei nazisti e dei loro collaborazionisti. «Primo, il passare del tempo non sminuisce la colpa degli assassini. Secondo, la vecchiaia non può offrire protezione a persone che hanno commesso crimini tanto atroci. Terzo, abbiamo l’obbligo nei confronti delle vittime e delle loro famiglie di ritenere queste persone responsabili. Quarto, manda un messaggio potente che se commetti tali crimini sarai ritenuto responsabile anche molti anni dopo. Quinto, i processi e le testimonianze svolgono una funzione importante nella lotta contro la negazione e la distorsione della Shoah. Sesto, queste persone non erano fragili quando hanno commesso i loro crimini, e hanno dedicato tutte le loro energie all’uccisione di uomini, donne e bambini. Settimo, non ho mai incontrato un nazista che esprimesse rimorsi o rimpianti».

Seguendo Primo Levi, infatti, «la storia della deportazione e dei campi di sterminio... non può essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa»; essa è legata cioè a un ben definito contesto storico e politico e il dovere di una memoria attiva e non retorica corrisponde al tempo stesso ad un impegno civile profondamente radicato nei valori della democrazia, dell’eguaglianza e della solidarietà, e dell’antifascismo. Si tratta cioè, in effetti, di un’altra declinazione del «mai più», per rendere sempre più vivo e operante «il dovere della memoria». 

lunedì 24 gennaio 2022

Una risoluzione contro la negazione della Shoah

 

        Alex Liivet from Chester, United Kingdom - New York 2007, CC0,          commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=63982082

È stata approvata lo scorso 20 gennaio un’importante risoluzione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite riguardante la negazione della Shoah (“Holocaust denial” nella versione originale inglese), in corrispondenza della data particolarmente simbolica e drammaticamente evocativa della Conferenza di Wannsee: il 20 gennaio 1942 si tenne infatti a Berlino la riunione segreta che radunò quindici tra i massimi esponenti del regime nazista nella quale fu presa la decisione di coordinare ed estendere il progetto della cosiddetta “soluzione finale”, vale a dire il completo sterminio degli Ebrei d’Europa. L’importanza sul piano storico della conferenza e, di conseguenza, il valore memoriale della circostanza, non consistono nel fatto che essa sancisse il progetto dello sterminio, che era già infatti, all’epoca, in avanzato stato di svolgimento; bensì nel fatto che la conferenza venne a delineare un coordinamento strutturato e coerente del progetto di sterminio, con il quale furono assunte le decisioni che avrebbero poi pienamente contraddistinto il genocidio del popolo ebraico con i suoi caratteri di unicità: non solo un’intera amministrazione statale e un rigido coordinamento, ma anche una scientifica pianificazione ed un vasto dispiegamento tecno-scientifico posti al servizio del piano criminale del regime nazista.

La risoluzione approvata dall’Assemblea Generale viene quindi, ottanta anni dopo, a richiamare l’attenzione della comunità internazionale sul dovere della memoria, sull’assunzione di responsabilità, per impedire il ripetersi di simili tragedie, e sulle iniziative che popoli e Stati sono chiamati ad intraprendere per contrastare ogni forma di razzismo e di discriminazione e per adoprarsi ai fini della protezione e dell’avanzamento di «tutti i diritti umani per tutti». Non a caso, la risoluzione si apre non solo con il richiamo alla Carta delle Nazioni Unite, ma anche alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la quale afferma che «l’ignoranza e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti barbari che hanno oltraggiato la coscienza dell’umanità», e prosegue ricordando che «la memoria della Shoah è una componente fondamentale ai fini della prevenzione di ulteriori atti di genocidio e ignorare i fatti storici di quei terribili eventi aumenta il rischio che si ripetano». Tali aspetti, del consolidamento della memoria e della corretta educazione e informazione sulle questioni della storia e della memoria, hanno direttamente a che fare con il contrasto dell’antisemitismo e della negazione della Shoah, anche nei contesti democratici, laddove «l’esercizio del diritto alla libertà di espressione comporta doveri e responsabilità specifiche e può pertanto essere soggetto a determinate restrizioni, ma queste devono essere solo quelle previste dalla legge e necessarie ai fini del rispetto dei diritti o della reputazione altrui, e ai fini della protezione della sicurezza nazionale o dell’ordine pubblico, della salute pubblica o della morale, e tutte le misure adottate devono essere nel pieno rispetto del diritto internazionale dei diritti umani».

Nell’indicare quindi l’obiettivo di contrastare la negazione della Shoah, la risoluzione ricorda che «la negazione della Shoah si riferisce specificamente a qualsiasi tentativo di affermare che la Shoah non ha avuto luogo e può includere il negare pubblicamente o mettere in dubbio» non solo la Shoah in quanto tale ma anche «l’uso dei principali meccanismi di distruzione (come camere a gas, uccisioni di massa, fame e tortura) o la intenzionalità del genocidio del popolo ebraico», indicando anche alcuni esempi tipici, già variamente noti alla pubblicistica e alla letteratura, di negazionismo o riduzionismo della Shoah, tra i quali tutti i tentativi di “giustificare” o “minimizzare” l’impatto, il numero delle vittime o i principali elementi della Shoah; i tentativi di ridurre o temperare il carattere della Shoah come evento storico negativo; tutti i tentativi di offuscare o minimizzare la responsabilità della istituzione di campi di concentramento e di sterminio ideati e gestiti dalla Germania nazista. In tal senso, la risoluzione elogia gli sforzi degli Stati che «si sono impegnati attivamente a preservare quei siti che sono serviti come campi di sterminio, campi di concentramento, campi di lavoro forzato, luoghi di sterminio e di prigionia nel corso della Shoah» e fa appello a sviluppare programmi e iniziative di educazione e sensibilizzazione allo scopo di prevenire qualsivoglia futuro episodio di genocidio e a intraprendere misure effettive per contrastare l’antisemitismo e la negazione o la distorsione della Shoah anche attraverso i mezzi di comunicazione e di informazione e i nuovi canali virtuali e i social media.

Molto opportunamente la risoluzione rende onore al «coraggio e dedizione dimostrati dai soldati che liberarono i campi di concentramento e di sterminio nazisti, da coloro che combatterono contro i nazisti, anche nei movimenti della Resistenza, così come da tutti coloro che resistettero ai nazisti, e che protessero o cercarono di soccorrere quanti erano in pericolo». Come scrisse Primo Levi, infatti, «la storia della deportazione e dei campi di sterminio... non può essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa». Significativo anche il fatto che il testo contenga un elogio alla International Holocaust Remembrance Alliance della cui definizione riprende alcuni elementi. In base alla «definizione operativa e non vincolante» dell’IHRA, infatti, «l’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto», specificando altresì che «le critiche verso Israele simili a quelle rivolte a qualsiasi altro Paese non possono essere considerate antisemite» mentre ritiene manifestazione di antisemitismo «considerare gli ebrei collettivamente responsabili per le azioni dello Stato di Israele». Una definizione, peraltro, non priva di elementi di problematicità e, talvolta, di genericità, che non ha mancato di suscitare dibattito e controversie anche in ambito accademico.

Alcuni riferimenti utili:

La risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite A/76/L.30 approvata il 20 gennaio 2022 contro la negazione della Shoah.

Flavia Foradini, Nazismo e Shoah: 80 anni fa si tenne la Conferenza di Wannsee, Il Sole-24 Ore, 20 gennaio 2022. 

Marco Consoli, Deborah Lipstadt: «La verità va sempre difesa, dall’Olocausto ai giorni nostri», L’Espresso, 7 novembre 2016. 

Gianmarco Pisa, Una panoramica sull’antisemitismo, report della FRA, Pressenza, 14 novembre 2021.

Elisabetta Ruffini, Il Memoriale italiano di Auschwitz, Rivista “IBC”, XVIII, 2010, 2.

Il sito della International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA).  

La definizione operativa non vincolante di antisemitismo da parte dell’IHRA. 

Rachel Hall, UCL board rejects IHRA definition of antisemitism, The Guardian, 12 febbraio 2021.