mercoledì 13 gennaio 2021

La complessità della vicenda sociale


La complessità della vicenda sociale, nella fase di crisi sanitaria e di crisi sociale che caratterizza il tempo presente, e la delicatezza della fase politica, in cui si addensano le contraddizioni degli equilibri politici e delle dinamiche pre-elettorali nelle grandi città del Paese, richiedono a tutti e tutte, e in particolare ai comunisti e alle comuniste, capacità di lettura e di iniziativa, un particolare esercizio di immaginazione creativa e di futuro.

Su una ampia varietà di questioni, che il tempo della crisi squaderna di fronte a noi, e che non sarà possibile affrontare con una analisi dettagliata se non, appunto, passandoli, pur non superficialmente, in rassegna.

Pandemia. Non è possibile affrontare i nodi del presente, senza puntare l’attenzione sull’evento-senso che maggiormente condiziona il vissuto delle persone, dei lavoratori e delle lavoratrici, e che più profondamente impatta sulle condizioni materiali di esistenza. Non tanto la pandemia in sé, quanto, specificamente, il governo della pandemia: l’insieme dei provvedimenti e delle misure assunte dalle autorità centrali e regionali per arginare la diffusione del contagio. 
 
Se è vero che non esiste, al netto delle raccomandazioni delle istituzioni multilaterali (OMS e Agenzie ONU), un «modello unico» di gestione della pandemia, e Paesi diversi hanno gestito, con maggiore o minore inclusività ed efficacia, in modo diverso la crisi sanitaria, è altrettanto vero che il nostro Paese ha scontato, su questo versante, un doppio fallimento: «di sistema», con le conseguenze delle politiche neo-liberiste, la privatizzazione e l’aziendalizzazione dei servizi, la catastrofe generata dall’irrazionale revisione costituzionale del Titolo V; e «di governo», con misure, soprattutto nella prima fase dell’emergenza, persino restrittive di diritti costituzionali, peraltro adottate con provvedimenti monocratici di natura amministrativa (i famosi DPCM), nonché di profondo impatto civile e sociale (dalle misure di coprifuoco al cosiddetto lockdown).

Lockdown. Sul cosiddetto lockdown, in senso generale, per il profondo impatto che determina sul tessuto democratico e le rilevanti conseguenze che produce anche sul piano strutturale, è necessario, per i comunisti e le comuniste, un “di più” di attenzione e di riflessione. Non vi può essere dubbio sulla centralità del diritto alla salute di tutti e di tutte; come pure dubbio non vi è sul fatto che i diritti umani, come è ampiamente assodato nella letteratura e nella prassi, sono, al tempo stesso, universali e indivisibili. «Tutti i diritti umani per tutti e per tutte»: non è né uno slogan propagandistico né tantomeno una frase scarlatta, bensì il nucleo stesso di ogni misura di tutela e di avanzamento dei diritti umani (civili e politici, economici e sociali, culturali ed ecosistemici). Non è praticamente possibile tutelare un diritto a scapito di un altro diritto o di altri diritti. 
 
È per questo che, se la parola d’ordine del «lockdown generalizzato» deve essere respinta dai comunisti e dalle comuniste, le misure di coprifuoco o di sospensione dei diritti e della stessa agibilità democratica devono essere contrastate; tali misure non solo possono concorrere a ulteriormente comprimere l’agibilità democratica ma hanno anche rafforzato i dispositivi militari già ampiamente e diffusamente presenti sui nostri territori, sino al punto di moltiplicare, addirittura, esposizione ed impegno dei militari in compiti e funzioni di natura, eminentemente e propriamente, civile. 
 
Per i comunisti e le comuniste, come è noto, lotta sociale e lotta democratica sono le due facce della medesima medaglia: non solo il ruolo del pubblico e dello Stato deve essere rafforzato ed esteso in tutti i comparti (a partire dalle produzioni fondamentali e dai servizi essenziali) ma, in particolare, tutte le funzioni e i servizi del welfare pubblico e universalistico devono essere arricchiti e potenziati (dal numero di posti letto e terapie intensive alla sanità territoriale e di prossimità; dal diritto allo studio alla riqualificazione delle strutture e dei servizi scolastici, contro i deficit di organico, le classi sovrannumerarie e una didattica digitale che esaspera disfunzionalità e sperequazioni; dal trasporto pubblico locale ai servizi sociali ed assistenziali).

Diritti. Per i comunisti e le comuniste, le questioni dei bisogni e dei diritti sono indisgiungibili; e, in questa fase, determinate misure di contenimento della pandemia stanno già avendo - e rischiano maggiormente di avere di qui alla prossima primavera - effetti socialmente catastrofici. Se, da un lato, è necessario battersi a fianco di tutti i lavoratori e le lavoratrici in lotta per la difesa del posto di lavoro, del salario, dei diritti (operai e operaie, lavoratori e lavoratrici dei comparti o delle aziende in crisi o in corso di dismissione o delocalizzazione; lavoratori e lavoratrici precari e precarie ad es. nei comparti dell’artigianato e dei servizi; lavoratori e lavoratrici saltuari ed intermittenti, ad es. delle arti, della cultura, dello spettacolo, del turismo, della ricettività); dall’altro è e resta strategico, a maggior ragione in questa fase, agire e lottare per un nuovo e diverso modello di sviluppo. In quella composizione sociale si manifesta - in nuce - la prefigurazione di un nuovo, odierno, proletariato. 
 
Non solo le crisi e le vertenze in corso, ma la stessa composizione del sistema produttivo riportano, oggi più che mai, in auge l’antica questione del cosa, come e per chi produrre: a maggior ragione in tempo di crisi sanitaria e di crisi sociale occorre ripercorrere l’orizzonte della programmazione democratica dell’economia, di un rinnovato e solido intervento pubblico, di una riconversione ecosistemica sottratta alle compatibilità capitalistiche. 
 

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