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Vienna. Grande città, grande capitale. Una capitale d’Europa, un nucleo di storia e di cultura, una città-mondo, per alcuni tratti, simbolo stesso d’Europa, di quella MittelEuropa che, con le sue movenze e le sue suggestioni, tanto ha influito e inciso sul clima e sulle tendenze culturali di una intera stagione a cavallo tra Ottocento e Novecento. Ma Vienna è anche una straordinaria capitale della contemporaneità: superato il mito leggendario, vagamente restauratore, della «Austria Felix», dismesse le spoglie della passata grandezza imperiale, Vienna è, nel Novecento, uno dei grandi baluardi europei di resistenza e di democrazia. Città ferita e divisa dalla guerra; città che ha animato una vibrante resistenza democratica e antifascista; città, ancora, protagonista di una impegnativa ricostruzione civile e democratica.
Il 29 marzo 1945, le truppe sovietiche, al comando di Fëdor Tolbukhin, eroe dell’Unione Sovietica, varcavano il confine; quattro giorni dopo, il 3 aprile, aveva inizio l’offensiva di Vienna; ai sovietici si deve la definitiva liberazione della Città, e tra il 20 e il 27 aprile, Karl Renner fu incaricato di formare un governo provvisorio, cui seguì la dichiarazione di indipendenza dell’Austria dalla Germania, la proclamazione della volontà di istituire uno Stato democratico sulla falsariga della Prima Repubblica austriaca, l’insediamento ufficiale del suo Gabinetto. Di lì a due giorni, il 29 aprile 1945, Renner poteva annunciare la reintegrazione della Repubblica Democratica. Vienna torna centro di uno stato democratico, l’Austria acquisisce e mantiene uno status di neutralità, vengono indette le prime elezioni municipali del dopo-guerra.
Come è stato da più parti ribadito, la neutralità austriaca non è solo un tratto distintivo della politica del Paese, è un carattere riconosciuto della stessa identità austriaca. Tra pochi giorni, il 26 ottobre, si celebrerà la festa nazionale con la quale sarà ricordata la dichiarazione di indipendenza e il ritiro delle truppe alleate, il 25 ottobre 1955. Come recita la Costituzione, infatti, «l’Austria fa propria la difesa nazionale universale. Il suo compito è preservare l’indipendenza del territorio federale, la sua inviolabilità e la sua unità, soprattutto per quanto riguarda la difesa della neutralità permanente. [...] La difesa nazionale universale comprende la difesa nazionale militare, intellettuale, civile ed economica. Ogni cittadino austriaco maschio è responsabile del servizio militare. Gli obiettori di coscienza che rifiutano l’adempimento del servizio militare obbligatorio e ne sono esonerati devono prestare un servizio alternativo».
Quello stesso 1955, Vienna e l’Austria riassunsero pieno controllo sovrano del territorio, sulla base dell’ordinamento democratico, della neutralità e del non-allineamento; non diversamente da Berlino, anche Vienna era stata, sino a quel punto, organizzata in zone di controllo tra Unione Sovietica, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, mentre il distretto I (il centro della Città) era pattugliato congiuntamente. Alla fine del 1945 vi si erano tenute le prime elezioni municipali: su 100 seggi nel Consiglio, il Partito Socialdemocratico ne conquistò 58, il Partito Popolare 36 e i Comunisti 6. Vienna ha una solida e storica tradizione socialista democratica. E le ultime elezioni municipali e regionali l’hanno ancora una volta confermata: non solo nel segno della “continuità” storico-politica, ma anche all’insegna di alcune indicazioni, di “prospettiva”, utili anche per noi.
Nelle elezioni recenti (11 ottobre) di Città e di regione, essendo Vienna un Land autonomo, proprio in virtù della sua grandezza e della sua storia, il Partito Socialdemocratico (SPÖ) ha ottenuto il 43% dei consensi (quattro punti in più rispetto alle precedenti elezioni svolte nel 2015); il Partito Popolare (ÖVP) raddoppia il consenso e si attesta intorno al 18%; i Verdi confermano la loro forza, espressione dei centri urbani e di segmenti istruiti della società austriaca (e non solo), con il 12%; mentre la destra radicale (FPÖ) non supera il 9% e i liberali (Neos) si fermano al 7%. Risultato in cui però continua a preoccupare il, sia pur ridimensionato, 4% del fronte “sovranista”, vale a dire dall’altra formazione della destra radicale della “Alleanza per l’Austria”. Nota negativa, il risultato della sinistra di alternativa (Links), fermo al 2%.
Come aveva dichiarato in campagna elettorale la candidata Anna Svec, «Vienna “la Rossa” ci ha lasciato un’eredità migliore di quella di altre grandi città. Sono felice di questo. Ma chi si è battuto per quelle storiche conquiste, non ci chiede di essere riconoscenti: ci chiede di continuare a lottare». C’è, anche qui, come in altre tornate europee recenti, non ultime quelle di un’altra grande capitale, Zagabria, un’indicazione interessante anche per il resto dell’Europa, a maggior ragione, come Vienna, ma diversamente da Vienna, per le grandi città d’Europa: non solo difendere la storia e il patrimonio, di memoria politica e di insediamento sociale, delle formazioni di progresso, ma anche sapere continuamente cambiare e innovare, intercettando i bisogni cangianti e mutevoli di un corpo sociale sempre più articolato e complesso.
Ma anche organizzare una proposta politica innovativa, al passo con i tempi, adeguata a interpretare l’esigenza della trasformazione di società e di sistema: una proposta Verde e Rossa (e Vienna è, storicamente, dal 1918, come ricordava Anna Svec, “Vienna la Rossa”), vale a dire una innovativa declinazione di socialismo ed ecologismo, una proposta di salvaguardia eco-sistemica e di difesa dell’ambiente, di giustizia sociale e di partecipazione democratica, in grado di dare una risposta adeguata alle grandi sfide e contraddizioni del tempo presente.