domenica 12 aprile 2020

Rimettere all’ordine del giorno la «programmazione democratica dell’economia»

«Dizajn za Novi Svet», MIJ, Beograd 2015 (Foto di Gianmarco Pisa)
 


Lo schema proposto dal Governo con il «decreto liquidità» sembra, tra i provvedimenti intrapresi nel corso dell’emergenza epidemiologica, il primo capace di alludere a una prospettiva di più ampio respiro: non semplicemente un decreto per contrastare gli effetti del cosiddetto «lockdown» sul lavoro, i redditi e le attività produttive, ma specificamente un ventaglio di opzioni in grado di delineare, appunto per la prima volta e al netto di misure emendative, un indirizzo più generale di politica economica. 

Intanto, i termini del discorso: il cosiddetto «decreto liquidità» si pone tre obiettivi. Il primo è quello di garantire capitali disponibili alle aziende attraverso un meccanismo di prestiti bancari garantiti dallo Stato. Il secondo è quello di mettere a sistema le attività di Cassa Depositi e Prestiti funzionali a tale scopo (e, in generale, allo scopo più complessivo di sostenere le attività produttive del sistema economico). Il terzo è quello di rafforzare le prerogative dello Stato in relazione alle attività produttive strategiche. 

Con una premessa obbligatoria, per chi ritiene che la crisi strutturale non sia ascrivibile solo a fattori meramente quantitativi, ma abbia anche ragioni politiche generali: non è certamente, infatti, lo strumento della decretazione d’urgenza la «via maestra» per definire operazioni strategiche di ampio respiro e le prerogative proprie della democrazia parlamentare vanno costantemente riaffermate, se si vuole evitare una progressiva compressione della dialettica democratica, magari giustificata dall’esigenza di fare presto nel tempo dell’emergenza, e se si vuole invece riuscire a sviluppare un dibattito nel Paese, che sia il più possibile ampio e coinvolgente, e che riguardi in primo luogo lavoratori e lavoratrici. 

Il primo obiettivo: rendere disponibili capitali alle aziende attraverso un meccanismo di prestiti bancari garantiti dallo Stato. Lo schema di lavoro prevede che il Tesoro, attraverso il Fondo Centrale di Garanzia, possa garantire prestiti alle imprese, fino alla soglia dei cinquecento dipendenti, fino a 25 mila euro con una procedura semplificata e con la garanzia statale del 100%; fino a 800 mila euro, con una procedura che prevede una valutazione sulla applicabilità del prestito e ancora la garanzia statale del 90%; fino a 5 milioni, con una procedura di valutazione in capo alla banca erogatrice e la garanzia statale ordinaria al 90%; mentre per le aziende di maggiori dimensioni, si fa ricorso alla SACE, con garanzia pari al 90% per le aziende con meno di cinquemila dipendenti e fatturato inferiore a 1.5 miliardi, e pari al 80% con più di cinquemila dipendenti e fatturato fra 1.5 e 5 miliardi, e al 70% con un fatturato oltre i 5 miliardi.

Il volume dello stanziamento per il sistema delle PMI è pari a trenta miliardi, con una capacità potenziale di mobilitazione di capitali (il cosiddetto «effetto-leva») stimata in duecento miliardi (il governo ha dichiarato una mobilitazione di capitale complessivo pari a quattrocento miliardi), che portano il totale delle risorse investite in Italia per contrastare gli effetti socio-economici dell’emergenza epidemiologica oltre il 20% del PIL nazionale. Si tratta di una risposta, per la prima volta, significativa, tra le misure di carattere economico generale poste in essere dal Governo, ancora insufficiente, tuttavia, in assenza di una programmazione pubblica degli investimenti, di una solida politica industriale e di programmazione economica complessiva in capo allo Stato, e un sistema di banche pubbliche per investimenti strategici. 

Qui si giunge al secondo obiettivo: mettere a sistema le attività della Cassa Depositi e Prestiti (CDP) allo scopo di sostenere le attività produttive del sistema economico. Al netto delle soluzioni individuate dal Governo, sembra chiaro che nella maggioranza parlamentare si confrontano opzioni diverse sul ruolo della SACE, l’agenzia responsabile della valutazione del profilo di credito e del rilascio delle garanzie, nel contesto della CDP: una SACE nel perimetro della CDP potrebbe, a detta dei sostenitori di questa opzione, garantire maggiore agibilità nell’applicazione del sistema di crediti. 

Una SACE direttamente controllata dal Tesoro, nazionalizzata a tutti gli effetti, potrebbe altresì, secondo quest’altro orientamento, erogare prestiti con garanzia pubblica da una società statale e rafforzare, in prospettiva, il sistema delle garanzie pubbliche a tutela della produzione. Opzione più promettente, non solo perché rafforzerebbe il ruolo statale anche nel sistema delle garanzie pubbliche, ma perché costituirebbe un importante presupposto per un ruolo di coordinamento e di orientamento finalmente pubblico e statale dell’economia nazionale. 

Ecco dunque il terzo obiettivo, il più ambizioso e il più prospettico: il rafforzamento del «Golden Power» (GP) dello Stato, vale a dire un meccanismo, al tempo stesso, di prevenzione e di protezione delle aziende operanti nei comparti strategici del Paese: da un lato il GP verrebbe esteso a nuovi comparti (non solo energia, difesa e comunicazioni, ma anche alimentare, sanitario, cibernetica), dall’altro verrebbe applicato anche a imprese, comunque strategiche, di dimensioni intermedie. 

Qui tuttavia bisogna davvero guardare in prospettiva: se la crisi ha evidenziato che il ruolo di coordinamento e orientamento in capo allo Stato è insostituibile, l’evoluzione delle cose indica che la proprietà pubblica e statale, la programmazione democratica dell’economia e un sistema statale, universalistico e articolato, di protezione sociale sono facce della stessa medaglia. Bisognerà ricordarsene, a maggior ragione quando l’emergenza sarà alle spalle.