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Di fronte al «golpe continuato» promosso dagli Stati Uniti e sobillato dalla destra eversiva venezuelana, che ha portato lo sconosciuto Juan Guaidò ad auto-proclamarsi, con l’appoggio di Washington, presidente “ad interim”, non è inutile ricostruire il quadro e definire il contesto di questa ennesima violazione, precisando i termini della legittimità politica e costituzionale del processo bolivariano e del presidente legittimo. Nicolas Maduro si è insediato per il suo nuovo mandato presidenziale lo scorso 10 gennaio, dopo aver vinto le elezioni presidenziali del 20 maggio 2018, con il voto di 5.8 milioni di venezuelani e venezuelane (pari al 67,8% dei voti). Alle elezioni hanno partecipato quattro candidati e, sebbene una parte dell’opposizione di destra non ha partecipato al voto, il processo elettorale si è svolto in maniera regolare e trasparente, come accertato dai numerosi osservatori internazionali presenti. Ciononostante, e sebbene si sia trattato del 19° processo elettorale dal 2004 (data in cui fu istituito il voto elettronico) e avesse soddisfatto tutti gli standard internazionali (un processo estremamente efficace e trasparente), gli Stati Uniti, insieme con un gruppo di Paesi della regione con governi ostili al processo bolivariano (13 su 36), non hanno riconosciuto il risultato.
Le prese di posizione e le dichiarazioni degli esponenti dell’amministrazione Trump sono vere e proprie “armi” in sostegno alle opposizioni eversive di destra, al fine di sostenerne l’iniziativa golpista, di rovesciamento del presidente eletto, anche attraverso la violenza di strada e, nelle dichiarazioni della amministrazione USA, contemplando «tutte le opzioni», non escludendo persino la minaccia di una aggressione militare alla Repubblica Bolivariana. La circostanza nella quale matura il tentativo di golpe, dunque, è quella di una iniziativa ostile e di sostegno dichiarato ai progetti eversivi da parte degli USA e di diversi Paesi occidentali, che punta a esasperare la popolazione venezuelana, già alle prese con la guerra economica statunitense contro il Venezuela, fatta di sabotaggio economico e blocco economico. D’altra parte, non riconoscere il governo legittimo del Venezuela permette agli USA e ai loro alleati di promuovere e finanziare le azioni di destabilizzazione interna tese a facilitare il rovesciamento del governo, nonché di incrementare le azioni per bloccare e sabotare l’economia venezuelana, attraverso misure del tutto illegittime ed unilaterali. Il blocco economico impedisce il normale accesso al Venezuela di cibo, medicinali, beni di necessità, e chiude l’accesso ai finanziamenti internazionali attraverso una politica di blocco finanziario.
Peraltro, la situazione interna in Venezuela vede il parlamento, l’Assemblea Nazionale, in una situazione di “oltraggio” o “inottemperanza” costituzionale, dal momento che non ha rispettato le sentenze della Corte Suprema che ha sospeso alcune sue funzioni dal momento che ha integrato al suo interno deputati le cui elezioni sono state dichiarate illegittime perché viziate da brogli e irregolarità. È questo il motivo per cui il Presidente non può giurare davanti all’Assemblea Nazionale, in rispetto della Costituzione Bolivariana. Dopo le elezioni parlamentari del dicembre 2015, infatti, la Corte Suprema (TSG) dichiarò nulla l’elezione di quattro deputati; tra cui tre dell’opposizione al governo Maduro. Senza questi tre deputati, all’opposizione, che pure aveva vinto quelle elezioni, veniva a mancare la maggioranza qualificata dei due terzi, che le avrebbe garantito poteri maggiori nei confronti del governo e del Presidente. La maggioranza parlamentare, in mano alla opposizione, ha tuttavia deciso di non sottostare alla deliberazione del TSG, di insediare ugualmente i tre deputati e di porsi di conseguenza, secondo un successivo deliberato del TSG, in situazione di oltraggio alla Corte. Nella vigente situazione costituzionale venezuelana, in cui l’iniziativa legislativa è sia del Parlamento e dei cittadini, sia dell’Esecutivo (art. 204 Cost.), il Parlamento può varare leggi “organiche” solo con la maggioranza dei due terzi, mentre con la maggioranza dei tre quinti può licenziare leggi “abilitanti” (art. 203 Cost.), e le opposizioni hanno “solo” la maggioranza dei tre quinti, ma non quella, in virtù dei seggi contestati, dei due terzi, ecco che tale decisione ha determinato il conflitto istituzionale su cui è intervenuto il TSG e su cui, in maniera completamente illegittima e pretestuosa, fanno leva le opposizioni eversive e i poteri del «Washington Consensus» per dare fiato alla corrente propaganda violenta e golpista.
In questo contesto, merita una sottolineatura la posizione che, attraverso le Nazioni Unite, esprime l’orientamento conforme al diritto internazionale. Il segretario generale, Antonio Guterres, ha ricordato che l’ONU collabora solo con il governo riconosciuto del Venezuela, guidato dal presidente Nicolas Maduro, mentre il Consiglio di Sicurezza, riunito sulla crisi venezuelana lo scorso 26 gennaio, ha verificato, nell’assise della discussione, una maggioranza di 19 Paesi (contro 16) dichiaratasi a sostegno del governo legittimo e del suo presidente costituzionale, quindi contro la minaccia di aggressione e di qualsivoglia indebita ingerenza negli affari interni del Paese. A maggior ragione, dunque, grave la presa di posizione del governo italiano, che si unisce di fatto ad una delle richieste dell’opposizione eversiva, dichiarando, lo scorso 4 febbraio, di appoggiare «il desiderio del popolo venezuelano di giungere nei tempi più rapidi a nuove elezioni presidenziali libere e trasparenti». Perfino il percorso di dialogo, proposto da Messico ed Uruguay, e prontamente accettato dal governo bolivariano, è stato respinto dalla opposizione, che ha così, ancora una volta, reso chiari i propri intenti. Anche per questo è necessario tenere alta l’attenzione, a difesa della autodeterminazione del popolo venezuelano e del processo bolivariano, contro ogni ingerenza esterna ed inquietanti minacce interventiste.