giovedì 15 marzo 2018

Vittorie e sconfitte elettorali: il 4 marzo e i prismi della società

aussiegall [CC BY 2.0] via Wikimedia Commons
Non è possibile comprendere appieno il dato delle elezioni politiche in Italia (4 Marzo 2018) senza cogliere lo spaccato di una complessità, ma anche e soprattutto di una frammentazione sociale, di cui gli orientamenti elettorali sono, certamente non univoco e non esclusivo, specchio e prisma.
 
È l’Italia, quella fotografata dall’ultimo rapporto del CENSIS sulla situazione sociale del Paese, del rancore e della frustrazione, in cui il dissidio e la contraddizione sociale non si manifestano nelle forme storiche, sociali e politiche, novecentesche, del conflitto di classe con la sua proiezione trasformatrice, del contrasto tra abbienti e non abbienti, della contrapposizione tra padroni, capitalisti, e lavoratori, sfruttati.



Si tratta in ogni caso, sebbene novecentesca, di una dinamica attuale, consustanziale alla formazione economico-sociale capitalistica: che continua ad agitare, profondamente e strutturalmente, la nostra (le nostre) società, ma che non si manifesta più come il “prevalente” di quella contraddizione, sostituita oggi dalle forme tipiche del rancore e della frustrazione, dell’impoverimento culturale che va di pari passo con quello sociale, della guerra tra poveri e della lotta dei penultimi contro gli ultimi. La materialità delle condizioni sociali crea, quindi, un nuovo, ma non inedito, pendant con la costruzione di nuovi immaginari culturali, alimentati da vittimismo e desiderio di rivalsa, «costruzione» del nemico e perdita di riferimenti.
 
Il nostro non è, ovviamente, il Paese più povero d’Europa; tuttavia, secondo Eurostat, è il Paese, in cifre assolute, che conta più poveri in Europa. Quasi 11 milioni i poveri in Italia; oltre il 20%, vale a dire una persona cu cinque, è a rischio povertà; oltre il 30%, vale a dire quasi una su tre, è a rischio in uno dei due ambiti, quello della povertà o quello dell’esclusione. Anche il 30% delle famiglie italiane è, in questo momento, a rischio di povertà o di esclusione sociale. La presenza in famiglia di più figli a carico o di persone con disabilità o non autosufficienti aumenta drasticamente il rischio di precipitare nella spirale della povertà. Secondo l’Unione Nazionale Consumatori, interpellata dalla RAI, si tratta di «dati da Terzo Mondo, non degni di un Paese civile».
 
«Non si tratta solo di una priorità sociale e morale, ma anche economica. Fino a che il 30% degli italiani è a rischio povertà o esclusione sociale, è evidente che i consumi delle famiglie non potranno mai veramente decollare e si resterà intorno all’1 virgola». Quasi pleonastico aggiungere che dal fondo delle motivazioni strutturali, incancrenite dalla crisi ed esasperate dalla precarizzazione, si agitano gli spettri che affollano le percezioni e gli immaginari nelle sfere sovrastrutturali, percezioni e immaginari, culture e sub-culture, alimentando sempre più stereotipi e pregiudizi, ma anche determinando nuovi paradigmi della paura e della diffidenza, di timore e chiusura.

L’Italia si scopre più impaurita e più razzista, più chiusa e più cinica: secondo il rapporto del CENSIS, tra gli italiani appartenenti ai ceti popolari, ben l’87% ritiene difficile o impossibile progredire nella scala sociale; il 66% dei genitori italiani, vale a dire due genitori su tre, si dichiara contrario a che la propria figlia sposi un uomo di religione islamica, ed il 41%, quasi uno su due, è contrario a che sposi un immigrato in generale; oltre il 70% dei disoccupati ed oltre il 60% degli operai associa all’immigrazione e agli immigrati sentimenti o percezioni negative; per non parlare di quel 76% di cittadini che ritiene di non nutrire alcuna fiducia nei confronti delle istituzioni repubblicane, o addirittura di quel 84% di cittadini che dichiara di non nutrire alcuna fiducia verso i partiti politici.

È davvero, prima ancora che l’ipotetico inizio della Terza Repubblica, la fine compiuta della Prima, almeno in alcuni dei comparti più caratteristici che la avevano attraversata: fine della solidarietà sociale, perfino della solidarietà di classe, oltre che di quella inter-generazionale; fine della consapevolezza di «salvarsi» tutti insieme, esorcizzando il rischio di finire tutti «sommersi»; fine della rappresentazione stessa della Repubblica come - certo non compiutamente - repubblica “democratica”, con i suoi ben distinti comparti sociali, con un ruolo ben definito da parte dei soggetti sociali, con un’iniziativa significativa dei partiti, una presenza consolidata del sindacato, con le sue articolazioni diffuse della mediazione e della rappresentanza.

Se l’immagine del nemico è un’accurata costruzione ideologica, definita e veicolata dagli attori dominanti e dagli strumenti di costruzione del consenso e di comunicazione di massa, funzionali ad una egemonia il cui segno di classe è - più che mai - evidente; i presupposti di quell’immaginario vivono e attraversano, proliferano e condizionano profondamente la società italiana di oggi, sempre più sensibile alla logica sicuritaria e repressiva, sempre più incline al razzismo e alla xenofobia, sempre più propensa a bypassare i luoghi della mediazione ed erigere barriere o evocare frontiere, reali o immaginarie.

La Lega è, non a caso, uno dei due vincitori della tornata elettorale del 4 marzo: supera il 17%, con punte del 28% in Lombardia e del 32% in Veneto, superando il 6% perfino in Puglia e in Calabria e straripando nella Lombardia orientale e nel Veneto interno, superando il 40% nella provincia di Sondrio, arrivando al 35% nelle province di Bergamo e Brescia: «terra di missione», si direbbe, per le formazioni collocate sul versante opposto, se è vero che, da queste parti, “Potere al Popolo” è quasi ovunque sotto l’1%. Non solo: la Lega stacca Forza Italia, ferma al 14%, e ridefinisce, a destra, in chiave sovranista, il profilo del centrodestra.

Il M5S, nella sua nuova livrea, insieme, populista e conservatrice, è, anche qui non casualmente, il primo dei vincitori: a fronte del quasi 33% in media nazionale, supera il 50% in numerosi comuni del Mezzogiorno, conquista diffusamente il 50% anche in Campania e supera addirittura il 60% a Pianura, Scampia, Barra, Acerra e Pomigliano, come pure in diverse realtà in Puglia e in Sicilia. Anche qui per la sinistra le cose non vanno tanto meglio: “Potere al Popolo”, nell’area metropolitana di Napoli, raggiunge l’1.8%, nel resto della Campania si ferma al 1.2%, in Sicilia è, in media, intorno allo 0.7%, e anche in Puglia non supera l’1%.

Se deludente, dunque, è il risultato della sinistra del «quarto polo», vale a dire “Liberi e Uguali”, che, con poco più di un milione e centomila voti, supera lo sbarramento attestandosi al 3.4% di media nazionale ed eleggendo 14 deputati e 4 senatori (la metà dei quali provenienti dalle file della scissione a sinistra dal PD), fallimentare, sotto il profilo elettorale, è il risultato della «sinistra di movimento», “Potere al Popolo”, che si ferma a 370 mila voti (meno della metà della bistrattata “Rivoluzione Civile” di Ingroia che, nelle elezioni del 2013, raccolse circa 765 mila voti) e si attesta a poco più dell’1% in termini di consenso elettorale; peraltro incalzata, in voti assoluti, dalle aggregazioni della destra radicale neo-fascista, un dato inquietante,  con le liste promosse da Casa Pound e da Forza Nuova, che, insieme, assommano ad oltre 430 mila voti.

Non mancherà il tempo, per riflettere e per approfondire; né sarebbe giusto disconoscere la novità e l’entusiasmo portati da questa «sinistra di movimento» fin dentro l’agone elettorale. Non è questa la sede per vaticinare soluzioni salvifiche o evocare bacchette magiche, ma si può immaginare che, senza precipitazioni organizzativistiche di sorta, questa sinistra possa essere attraversata, liberamente, come un campo di soggettività e di relazioni.

Restano, tuttavia, una sofferenza e una solitudine profonde che abitano e sconvolgono le nostre società, ormai non più solo le nostre periferie; e c’è la questione di un’abitudine al «rapporto di massa» e al «lavoro di massa» che, da troppe parti e da troppo tempo, a sinistra, sembra smarrita. Per le forze, sinceramente e autenticamente - come si diceva un tempo - progressiste o rivoluzionarie, forse è il caso di ripartire da qui.